venerdì 22 febbraio 2013

Dentro e fuori dall'armadio

Negli ultimi giorni sono stato involontariamente spinto a riflettere su una questione di ignavia, se così la si vuol chiamare. Chiaramente, come tanti altri aspetti, possiede mille sfaccettature, per questo motivo ritengo sia da sviscerare in profondità prima di poterle attribuire tale titolo.

Italia ed omosessualità non sono precisamente due vettori che procedono nella stessa direzione, è risaputo; nonostante ciò, assistiamo negli ultimi anni ad un graduale -e ahimè lento- processo di apertura in questo senso. Grazie all'Unione Europea, ai rapporti con i paesi vicini, al progresso, alle proteste e alle dimostrazioni  popolari, la mentalità si evolve per il meglio, eppure non è ancora abbastanza.
Nonostante si assista ad una sempre maggiore affermazione ed un più forte riconoscimento dei diritti delle persone attratte da individui dello stesso sesso, le voci che emergono dalla massa silente e indifferente sono ancora troppo deboli per poter essere adeguatamente udite da chi preferisce fare orecchie da mercante o, semplicemente, è talmente fermo e radicato nelle sue convinzioni da necessitare di motivazioni pronunciate in coro per potersi smuovere.
La critica che mi sento di lanciare, per quanto non voglia sparare a zero giacché anche io ho le mie croci e i miei scheletri nell'armadio, è nei confronti di coloro che passano il tempo a nascondersi nell'ombra o, per usare un'espressione anglo/gallo/ispano/lusitana tradotta: dentro l'armadio. Come per tante altre categorie, la difesa dei diritti tramite manifestazione pubblica è fondamentale, una colonna portante della sopraelevata che conduce all'ottenimento degli stessi ed al loro rispetto da parte della popolazione e dei suoi rappresentanti, è risaputo. A differenza di movimenti come quello femminista però, essere omosessuali alla luce del sole è tutt'altro che semplice e segue un processo di durata varia che passa per varie tappe e che incontra un numero di difficoltà che dipende da vari fattori. Solo chi è in grado di superare tutte le tappe con successo sarà in grado di affrontare la grande sfida della lotta per i propri diritti, traguardo accessibile non certamente per maggioranza degli omosessuali.
Lo scoglio iniziale, nonché uno dei più grossi, è quello di ammettere a se stessi che le proprie preferenze sessuali non sono quelle che la società ci insegna e secondo le quali siamo "programmati" sin dalla nascita. La durata di questo passaggio e le difficoltà incontrate sono strettamente legate all'ambito familiare e amicale nel quale si è cresciuti, i diversi gradi di apertura mentale dei suoi componenti, la presa della religione su questi ultimi e le eventuali opinioni al riguardo, ma buona parte di coloro che riescono, sono solitamente idonei ad ottenere buoni esiti anche nelle tappe successive.
Superati i vari traguardi del coming-out, il passo finale è quello dell'attivismo, del quale esistono vari gradi più o meno condivisibili; si va per esempio dall'ostentazione con lo scopo di infastidire chi non apprezza o non concepisce l'omosessualità, alla pretesa del rispetto in modo pacifico e fiero allo stesso tempo, con la condanna dei crimini contro la categoria. A metà vi sono gradi di attivismo molto più moderati e celati che possono palesarsi semplicemente nel parlare liberamente senza dover cambiare il genere dei sostantivi e degli aggettivi, di esprimersi come se si parlasse con se stessi e di non nascondersi né vergognarsi di ciò che si è, atteggiamento che, per quanto possa sembrare relativamente menefreghista e codardo rispetto a coloro che invece sfilano nelle strade e nelle piazze, rappresenta in realtà un atto collaborativo nei confronti del mondo omosessuale, poiché si portano le proprie conoscenze a comprendere la sessualità di una persona che hanno sempre apprezzato prima di entrare in contatto con questo suo aspetto e che, se dotate di ragione, non si sentirebbero mai di abbandonare perché "in contrasto" con il loro stile di vita. Come primo approccio è, secondo la mia opinione, piuttosto soddisfacente.

E' troppo comodo attendere che gli altri lottino per i nostri interessi mentre ci si nasconde nell'ombra, solo uniti si è capaci di raggiungere risultati significativi e a vivere pacificamente in società senza maschere né barriere.

lunedì 11 febbraio 2013

Chi è al mondo solo perché c'è posto

Ho deciso che i miei ultimi scritti su questa pagina erano troppo seri, quindi è ora di spezzare un po' la monotonia ed abbinarci un post a sfondo ironico, ma non troppo: in questo caso la verità non si deposita soltanto sul fondo.
La gente deve morire.
No, non mi riferisco semplicemente al fatto che siamo esseri mortali la cui vita naturale ha una durata media di 60/70 anni,  bensì a quella categoria di individui inutili o dannosi che arreca disturbo alle vite altrui e, sostanzialmente, "è al mondo solo perché c'è posto".
Penso sia abbastanza evidente che questo blog e i suoi contenuti non vogliono nemmeno lontanamente arrogarsi un'oggettività che non starebbe né in cielo né in terra, soprattutto visti gli argomenti futili e frivoli che tratto normalmente; l'unico mio intento è quello di esprimere le mie opinioni su argomenti determinati senza essere soggetto a censure, critiche od opinioni contrarie alla mie, sentendomi costretto magari a confutarle.
Solitamente, inoltre, non sono così estremista né misantropo, ma, dopo la chiacchierata con un amico che ha portato il focus della conversazione su elementi di dubbia utilità, quali Silvio Berlusconi o Ke$ha, la mia parte sociopatica ha sentito un impulso che l'ha risvegliata dopo un lunghissimo sonno; ora Lei è pronta per riscuotere gli arretrati.

Nella fattispecie, perché Ke$ha, una ragazza giovane senza talento alcuno, senza essersi creata un personaggio degno di nota, senza aver fatto niente di significativo eccetto canzoni vuote e insensate con un ritmo orecchiabile -con tanto di voce modificata elettronicamente, ça va sans dire- riesce ad avere così tanto successo nonostante abbia fatto sanguinare migliaia di orecchie in tutto il mondo? Ricordo che quando comparve il nome del suo ultimo album tra le Tendenze di Twitter, me ne compiacqui poiché, credetti per un momento che lei fosse scomparsa dalla faccia del pianeta, e il titolo "RIP" non poteva far altro che alimentare il mio desiderio. Non fraintendetemi: pecco anche io spesso e volentieri di incoerenza ed ho scaricato e, sporadicamente, ascolto qualcuno dei suoi singoli, però si tratta di isolati momenti di debolezza che difficilmente si ripetono.

Un po' diverso è il discorso che abbraccia l'ambito della politica. Per quanto la signorina citata qua sopra abbia una popolarità non indifferente, se non si ha più pazienza sufficiente per tollerarla si può sempre spegnere il riproduttore di musica in attività e metterla a tacere definitivamente. Nella vita di tutti i giorni, purtroppo, non basta spegnere la tv, il computer o la radio per non avere più notizie di colui che, più di ogni altro, ha condotto il paese alla rovina già per tre volte e che, oramai, non usa più neanche un filtro per setacciare i suoi pensieri più assurdi imbellendoli di retorica facendoli anche sembrare intelligenti e ragionati, ma sgancia a ruota libera gastronerie come fa una mandria di cavalli alla fiera di paese con i propri escrementi. Mettiamo da parte per un momento l'infelice metafora per dedicare un momento ai suoi elettori che sono sempre spaventosamente numerosi e che il Cavaliere riesce ad abbindolare con le sue chiacchiere, inducendoli a dichiarargli una folle e cieca fedeltà. In una parola: terrificanti.
Il motivo per cui è impossibile ignorare un individuo come lui è presto detto: le sue azioni hanno ripercussioni profonde sulla vita di tutti i giorni e sul futuro mio e di tanti giovani in primis.

Aggiornamento dell'ultim'ora: la sociopatia che normalmente ottiene il ruolo di protagonista di tutti i miei lunedì è oggi dissipata. Le dimissioni di Benedetto XVI sono una notizia della quale non posso far altro che rallegrarmi. Il signor Ratzinger, sin dal giorno della sua elezione, non ha fatto altro che darmi un crescente numero di motivi per alimentare il mio orientamento anticlericale, portandolo quasi ad un integralismo paragonabile a quello dei più alti vertici della Chiesa Cattolica Romana. Non resta che sperare in un esponente ben più progressista e di evitare di cadere dalla padella alla brace.
Non è morto, è vero, ma poveraccio, ormai i suoi anni li ha, la demenza senile ha già riscosso una vittima in lui e non mi pare etico augurargli una prematura sparizione, non ora che non rappresenta più un pericolo.

martedì 5 febbraio 2013

L'istinto di amare

Chi siamo? Cosa facciamo? Qual è lo scopo del nostro vagare?

Ogni essere umano si è posto queste domande almeno una volta nella vita, anche inconsciamente. Altrettanto inconsciamente cerca di rispondersi per poi mettersi alla ricerca di ciò che rispecchia la soluzione a questi quesiti nel mondo reale, in particolare all'ultimo dei tre.
E' facile rispondere da un punto di vista prettamente biologico affrontando un discorso improntato sui bisogni di prima necessità che determinano la sopravvivenza: il cibo, l'acqua, il calore, la luce.
Un po' più complicati sono invece gli aspetti morali e spirituali. Questi ultimi dipendono un po' dallo sviluppo e dai cambiamenti della filosofia e della mentalità dei popoli e delle genti, ma degli elementi costanti si trovano sempre a distanza di varie generazioni. E' da sempre oggetto di discorsi la ricerca della felicità, spesso accompagnata da quella dell'amore. Tanti sostengono che non esiste vita piena e felice senza l'amore ed è man mano che vado avanti che mi trovo a concordare sempre più con questa categoria.
L'uomo non è fatto per passare la vita in solitudine e sente il bisogno di essere sempre circondato da suoi simili sin dall'infanzia. E' inevitabile che nei confronti delle persone che ci stanno vicine si sviluppino sentimenti di natura affettiva di diversi tipi, una dipendenza dalla quale non si vorrebbe mai guarire.

Le priorità cambiano al cambiare delle generazioni, come dicevo. C'è chi pensa a fare soldi prima di ogni altra cosa, per poter vivere una vita dignitosa; chi studia in modo folle per poter conseguire la professione dei propri sogni; chi ha soltanto voglia di divertirsi e trascorrere il tempo in modo non impegnato; chi semplicemente ambisce a sopravvivere fino alla fine della giornata.
Cosa hanno in comune queste categorie di persone? La loro impellente necessità di interagire con gli altri o la loro fuga dalla solitudine.
Si lavora e si fanno soldi per potersi permettere una casa da condividere con la persona amata o la propria famiglia; si studia per lavorare e regalare una vita migliore a noi stessi e a chi riteniamo importante; ci si diverte preferibilmente in compagnia; si arriva alla fine della giornata presumibilmente con il pensiero che prima o poi, probabilmente, arriverà nella nostra vita qualcuno che la renda migliore e non ci costringa più a sopravvivere, ma ci insegni a vivere.
Anche l'uomo o la donna più superficiale del pianeta, dedito/a alla materialità, ai piaceri carnali e terreni, ha inconsciamente la necessità e il desiderio di stare bene, in pace. Starà a lui/lei ammetterlo o persino occultarlo a se stesso, in entrambi i casi è molto probabile che si lasci andare involontariamente, vinto dall'istinto della ricerca del calore interiore e del bisogno di amare, tradito dalla sua stessa natura.

Avrei tanto voluto non oltrepassare i confini della riflessione e precipitare su ciò che, non a torto, si considera sdolcinato; ma a volte ritengo sia necessario sbilanciarsi per esprimere ciò che si pensa.