domenica 29 settembre 2013

Aspettative

Gli italiani a Londra: una piaga sociale?

Essere giovani implica vivere di sogni e miraggi, a dispetto del proprio realismo e della propria capacità di mantenere i piedi ben piantati sul terreno.
Quando si è giovani, e il proprio paese affonda lentamente e inesorabilmente, gettando via tutta la zavorra per tentare di rallentare la colata a picco, spesso non resta altra scelta che balzare sulla prima scialuppa e tentare di sopravvivere e di essere raccolti dalla prima nave di passaggio. La mia passione per le metafore non dà tregua. Più concretamente, il sud Europa non si trova nella situazione migliore in questo momento: è sotto gli occhi di tutti e tutti ne parlano, dunque non trovo interessante approfondire questo aspetto. Una delle conseguenze è il taglio dei posti di lavoro e, quindi, delle opportunità per coloro che, come i giovani, si trovano tagliati fuori da qualsiasi settore, avendo vissuto troppo poco tempo per poter vantare qualsivoglia tipo di esperienza in un settore.
Si è amplificata, come risultato, la tendenza di saltare sul primo aereo e trasferirsi nella mitica Londra, la Mecca europea del lavoro, almeno fino ad una decina di anni fa. Mezza Europa, nonché buona parte del resto del mondo, attirato dalle innumerevoli opportunità, ha pensato bene di sfruttare ciò che la città offriva, e continua ad offrire, e tentare di sbarcare il lunario.
L'Italia è stata una delle principali fonti di immigrati per la capitale britannica, portando con sé la loro emotività, lo loro conoscenze culinarie e non e spesso, ahimè, la loro inciviltà.

Sino a dieci anni fa valeva ancora la regola del partire all'avventura, senza affannarsi troppo nel pianificare il tutto, tanto le offerte di lavoro erano una valanga e un paio di giorni erano sufficienti per potersi considerare stabiliti.
Quello che la gente oggi non realizza, è che la situazione non è nemmeno alla lontana paragonabile al passato. La crisi economica non ha risparmiato la Gran Bretagna, e persino i nativi con importanti titoli di studio inciampano su mille ostacoli prima di riuscire a trovare un impiego. Tantissimi miei compatrioti invece si ostinano ad adottare il metodo dei loro predecessori e accorrere in massa senza essere nemmeno minimamente in grado di mettere due parole in fila nella lingua locale, qualche dio solo sa come pretendono di trovare lavoro essendo impossibilitati a comunicare. Non c'è dunque da sorprendersi se, dopo qualche mese, abbandonano anche l'altra nave per tornare a quella che già conoscevano.

D'accordo, indubbiamente il mio percorso è stato più semplice in quanto partivo già con un solido sostegno linguistico che non ha faticato a crescere rapidamente nonostante io mi trovi sul posto dopo due mesi, e la cui conoscenza, coadiuvata da quella di altre lingue importanti, mi ha aperto parecchie porte sin dal primo momento. Eppure, non mi sognerei mai di avanzare la teoria del considerarmi sistemato per sempre, in quanto mi ritrovo in una situazione non meno insicura di quella di tanti altri, proprio per questo tengo le mie aspettative ad un'altezza ragionevole.

D'altronde, piove anche troppo spesso su questa grigia città per poter essere positivi riguardo qualcosa.

domenica 15 settembre 2013

Paws up! Ma forse anche no

Ultimamente, una costante tematica che entra a far parte delle mie conversazioni è la mia ormai superata passione per Lady Gaga (o GaGa?).

Non sono mica lontani il 2010 e il 2011 quando, ai miei primi anni di università e nel muovere i miei primi passi nella frequentazione di vere e proprie discoteche, facevo del mio sfegatato supporto nei suoi confronti la mia bandiera, un vanto o persino una ragione di vita.

Con il senno di poi mi rendo conto di quanto un ragionamento del genere possa essere ascritto ai tipici comportamenti adolescenziali. E l'imbarazzo non è indifferente.
Dopo una breve pausa per presunti problemi di salute, la beniamina tanto amata dagli omosessuali è tornata con un nuovo album, un nuovo progetto non necessariamente particolare o innovativo, per quanto, a suo dire, qualunque cosa lei faccia potrebbe essere paragonato alle grandi rivoluzioni della storia. D'altronde, cosa apportano di diverso dall'Illuminismo francese le sue canzoni orecchiabili? Non mi sentirei mai di mettere in discussione tale verità assoluta.

Un amico mi ha raccontato di recente del suo incontro ravvicinato del terzo tipo con la popstar -per quanto veritiero o meno possa essere il suo racconto- riassumendolo con una semplice ma spassosa frase: "She was nice at me, but she was talking shit.".
Siamo tutti consapevoli di come la celebrità può dare alla testa spesso e volentieri, che sia per il potere del denaro, che sia per l'uso smisurato di droghe, che sia semplicemente per l'abilità innata dell'essere umano di perdere qualsiasi parvenza di umiltà in occasione del raggiungimento di un obiettivo agognato con ottimi -o anche semplicemente accettabili- risultati.

Resta comunque provato il fatto che, a prescindere dal taglio di nuovi traguardi, la ragazza non ha più quell'aura di novità che poteva trasmetterci fino a quattro o cinque anni fa, bensì ormai ha attaccata a sé quella patina di stantio che attribuiscono i pseudo-conflitti e provocazioni reciproche tra lei e le sue colleghe "bitch".

Con tutto ciò, non intendo assolutamente rinnegare il mio passato da Little Monster, quando anche io trascorrevo un buon numero di minuti giornalieri a provare e riprovare le coreografie delle mie canzoni preferite davanti allo schermo di un computer per poi "allietare" i miei amici riproducendole in discoteca. Semplicemente si tratta di una di quelle tante pagine che, durante la nostra vita, giriamo e teniamo più o meno nascoste nel nostro armadio assieme agli altri scheletri.

Checché se ne dica, negherò mai che, ancora oggi, l'acuto "I don't wanna be friends" verso la fine di Bad Romance è ancora una delle cause della mia afonia la domenica mattina.

lunedì 2 settembre 2013

Solitudine forzata

Un abbozzo di riflessione della domenica pomeriggio/sera/notte che ho deciso di condividere coi miei fantomatici lettori.
A seguito di un fine settimana di devasto e festeggiamenti, dopo aver finalmente trovato il mio posto in città, nonché uno scopo concreto per il quale svegliarmi tutte le mattine, arriva quella giornata durante la quale si tirano le somme della settimana e il male di vivere ci sovrasta e decide di appollaiarsi sulle nostre spalle -o teste, nel caso in cui si sia alzato il gomito la notte prima- come i pappagalli sui trespoli: la domenica.

Tra una chiacchiera e l'altra, rigorosamente per via telematica, perché non ho alcuna voglia né forza di schiodarmi dalla mia camera da letto, si giunge improvvisamente ad un discorso che parrebbe impegnato: gli scopi della vita.
Ok, forse metterla in questo modo è un po' troppo generico, la discussione verteva principalmente sulla condivisione della propria vita assieme ad un'altra persona.

Qualcuno una volta mi disse che veniamo cresciuti con la convinzione che noi esseri umani affrontiamo gli ostacoli quotidiani con maggiore difficoltà se siamo lasciati a noi stessi e dobbiamo farlo da soli. La stessa persona ha poi aggiunto che niente sarebbe più sbagliato dell'affermazione precedente, in quanto siamo perfettamente capaci, il problema concreto è che la nostra forma mentis non sembra consentircelo.

Mi sono così ritrovato più di una volta a riflettere su questo concetto e su altri aspetti in ordine sparso. In generale mi ritrovo a condividere quanto affermato dalla persona citata in precedenza. E' anche vero, però, che si tratta di un'ideologia talmente complessa e radicata, che vedo completamente inutile, se non deleterio, opporvisi. Vi è inoltre da aggiungere che, nonostante in generale la reputi scorretta, io pensi sia da contrastare. Non ci trovo niente di moralmente sbagliato nel voler affrontare il lungo percorso che si snoda davanti a noi scegliendosi una persona che ci faccia compagnia e che renda le fatiche più leggere.

Quello che mi limito a fare, nella mia paranoia -quando questa non sfocia in vero e proprio terrore della solitudine- è tenermi una porticina aperta verso questa filosofia, se così la possiamo definire, in modo che, se qualcosa dovesse andare storto e io dovessi ritrovarmi solo con me, myself and I, possa essere preparato ad affrontare quello che per tanti, e probabilmente anche per il sottoscritto, è una fobia vera e propria.

Pessimismo? Per farla semplice mi limito a definirlo un "pararsi il culo":