mercoledì 12 dicembre 2012

Séduits par la Ville Lumière: le charme de Paris

Parigi è stupenda.

Queste tre parole, sebbene creino un accostamento piuttosto banale, esprimono in modo chiaro e conciso il turbinio di emozioni che ho provato nel visitare una delle principali capitali europee e che, prima della scorsa settimana, non avevo mai avuto la fortuna di vedere.
Il viaggio in sé è stato veramente fulmineo, in quanto noi, poveri e squattrinati studenti universitari, abbiamo a disposizione budget limitati quando decidiamo di intraprendere una nuova avventura destinata esclusivamente allo svago e al relax -per quanto relativo.
La compagnia aerea Ryanair, nonostante io abbia sempre e perennemente da inveire nei suoi confronti, mi ha proposto un'offerta convenientissima per quei tre giorni, cosa che mi ha permesso andare incontro alla proposta di un'amica e compagna d'avventure universitarie, di accompagnarla in questa gita.
E' chiaro che una preziosa e ricca metropoli come quella francese, meriti ben più di tre giorni per essere gustata e apprezzata in ogni sua sfumatura, ma un assaggio-lampo, stile toccata e fuga, condito di infiammazioni e precoci reumatismi -uniche pecche della vacanza-, è comunque qualcosa.
La selezione delle mete è stata portata avanti seguendo i criteri più o meno soggettivi del dare priorità alle cose più famose ed importanti e a quelle che ci interessavano maggiormente.
Dopo vari accordi, che si raggiungevano quotidianamente a tavolino tenendo conto delle preferenze di ciascuno, si pianificava il percorso da seguire che, ritenevamo, ci avrebbe permesso di risparmiare il maggior tempo possibile.
E' così che abbiamo optato per le seguenti tappe:


Notre Dame
Una capatina a casa di Quasimodo era obbligata; come non rivivere la magia di una delle più belle storie riguardanti la città sullo sfondo della maestosa e famosissima chiesa? Forse ci aspettavamo di poter scorgere la bella Esmeralda danzare sui ritmi di musiche gitane sotto l'indifferenza dei turisti, attratti piuttosto dal ristorante che porta il suo nome.



La Senna e le sue isole
Noi, giovani temprati e ancora in età troppo tenera per poterci lamentare del freddo glaciale, ci siamo lanciati alla scoperta delle isolette in riva al fiume e dei piccoli e caratteristici quartieri che ospitano, lasciandoci catturare dalla loro magia tipica, quasi immaginandoci di sentire il famoso organetto in sottofondo.


La Tour Eiffel
Fermata imprescindibile, simbolo della città e della stessa Francia. Maestosa e sublime, alla luce del giorno come nell'oscurità della sera, durante la quale si illumina di una luce romantica in grado di riscaldare dal freddo patito e di rilassare dopo la stanchezza di una giornata trascorsa a camminare in lungo e in largo sotto la pioggia.


Il Cimitero di Montparnasse
Tetro e triste, come tutti i cimiteri, ma luogo di riposo di illustri personaggi tra cui Baudelaire, Sartre, Guy de Maupassant e così via. Per quanto sia un luogo destinato alla reverenza e alla preghiera, non abbiamo potuto fare a meno di rimanere incantati dalla sua preziosità.


L'Arco di Trionfo e gli Champs Elysées
Sicuramente la parte più affollata di Parigi, piena di negozi di tutti i tipi: dalla bancarella del vino caldo, alla boutique, alla sciccheria di Ladurée, dove i Macaron meritano decisamente un assaggio; a quanto pare, tutti gli altri turisti erano della nostra stessa idea.



Montmartre
Il mio più grande rammarico del viaggio è stato quello di non aver potuto visitare la Basilica del Sacro Cuore e il Musée d'Orsay, ma purtroppo il tempo è volato e la crudele Treviso era ancora una volta intorno a me, pronta a cingermi in una morsa soffocante.
Una passeggiata di breve durata ci è stata comunque permessa tra Montmartre e le luci rosse di Pigalle che non ha fatto che rafforzare il nostro neonato amore per la Ville Lumière.

Il Louvre
Il famosissimo museo, del quale non ho ancora recuperato le foto, è degno della sua fama. Quando, per anni, alle scuole superiori, si studiano le opere d'arte più famose, le si può apprezzare, ma sicuramente non quanto si è in grado di fare di persona. L'emozione provata davanti a qualcosa di universalmente conosciuto come la Monna Lisa, la Nike di Samotracia, la stele di Hammurabi o Amore e Psiche nel vederli di persona è indescrivibile a parole e, probabilmente, anche se fossi capace di esprimerla, sceglierei di custodirla gelosamente per me come un tesoro.

Ci tenevo ad affrontare l'argomento di questo bellissimo e, mi auguro, altrettanto ripetibile excursus nella capitale francese, sebbene mi renda conto di non poterle rendere giustizia.
La città non ha bisogno di nessuna pubblicità poiché la sua fama supera i confini e gli oceani, ma questa stessa fama non è in grado di rappresentare nemmeno una piccola particella della sua ricchezza artistica, culturale ed estetica, posso solo consigliarvi di salire sul primo aereo e percorrere le sue vie ad occhi sbarrati e a bocca aperta con lo stesso stupore di chiunque la veda per la prima volta.
Se siete fortunati, verrete assistiti dalla nostra eterna compagna di viaggio: la pioggia, amica che, sebbene io non apprezzi assolutamente in qualsiasi altra occasione, è in grado di rendere incantata una città già di per sé magica.



Ed è così che la si desidera con una brama sempre crescente, con un'avidità che non ha niente di sbagliato poiché perfettamente giustificata.
Se già da prima i miei progetti avevano una sfuocata Ville Lumière sullo sfondo, ora questa si fa più nitida e colorata: il mio ritorno non sarà quello di un semplice turista.
Chiunque è un potenziale amante di Parigi, chi non l'apprezza è solo perché non se n'è ancora reso conto.

martedì 4 dicembre 2012

Translation studies

Una delle domande che ci vengono costantemente rivolte quando conosciamo una persona nuova è: "Di cosa ti occupi?"; non per forza con queste esatte parole, può essere in mille salse diverse, ma la risposta che mira a ricevere è sempre la stessa.

Replicare è semplice, nella stragrande maggioranza dei casi, almeno quanto dire il proprio nome, eppure io, non raramente, sperimento difficoltà. Finché ci si ferma al fatto che sono uno studente universitario non si pone nessun problema; è quasi certo, però, che il nostro interlocutore vorrà ricevere ulteriori informazioni al riguardo e, rincarando la dose, domanderà: "E cosa studi?". Arrivati a questo punto voi mi chiederete: "E qual è il problema?". Nessuno, rispondo io. Tuttavia, il mio cervello diventa improvvisamente iperattivo e, tra macchinazioni, sforzi e sbuffi, architetta il modo migliore per esprimere il concetto in maniera tanto completa quanto stringata poiché, si sa, nelle chiacchiere formali l'economia di parole è apprezzata e nessuno vede di buon'occhio chi si dilunga in soliloqui o si lancia in dissertazioni che non hanno niente da invidiare alla Treccani.

Tutto questo perché, amici miei, lettori e passanti, è bene ricordare e sottolineare sempre una distinzione alla quale tengo particolarmente: quella tra studenti di Lingue e Letterature Straniere e studenti di Traduzione e Interpretariato. Il nostro amato Bel Paese cancella spesso e volentieri questa differenza, ben marcata negli atenei dei suoi colleghi europei, tra le due discipline e facoltà, consentendo che solo quattro università contino sulla divisione: Trieste, Bologna/Forlì, Milano e Roma. Le ultime due mi vedo obbligato ad escluderle a priori, causa costi proibitivi che giustificano la separazione tra la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere e la Facoltà di Traduzione e Interpretazione o Scuola Superiore di Lingue Moderne per Traduttori e Interpreti, che dir si voglia.
Intendiamoci: non sono assolutamente intenzionato ad approfondire un'inutile critica che non condivido nemmeno, cerco semplicemente di far comprendere come mai ogni tanto spunta qualche problema.




È comunque una conseguenza di ciò il fatto che, quando rispondo alla domanda in modo proprio, tante persone non capiscano realmente quello che voglio dire; è così che mi ritrovo ad aggiungere: "La facoltà è quella di lingue, ma non faccio le stesse cose che si fanno nelle facoltà di lingue normali.", seccato e brusco. Evidentemente per l'interlocutore l'estensione esplicativa è sufficiente poiché si dimostra soddisfatto e passa alla successiva e prevedibilissima domanda: "E quali lingue studi?", probabilmente perché la sua attenzione si è concentrata sulla stringa "facoltà di lingue" e, in base a quelle tre paroline magiche crede di aver capito (finalmente) il succo di un discorso più complesso.

Fortunatamente, capita ogni tanto di incappare in addetti ai lavori o individui al corrente della differenza radicale. Questo tipo di persone solitamente acquista 10 punti in partenza nella forgiatura dell'opinione che avrò di loro.
Mi sembra doveroso dedicare almeno un post del mio blog all'argomento, dato che tutto ciò che correlo alla mia formazione occupa la stragrande maggioranza delle mie giornata.
In parole molto povere: lo studente di Lingue e Letterature Straniere -propriamente dette, il che esclude qualsiasi corso interfacoltà- ha come ambito di studio la linguistica, la letteratura e la filologia, in proporzioni diverse a seconda dello specifico corso di laurea che frequenta; lo studente di Traduzione e Interpretazione, invece, vive di mediazione linguistica, scritta e/o orale, impara tutte le tecniche, la teoria e la pratica della trasmissione di messaggi da una lingua all'altra, mirando alla fedeltà, alla correttezza grammaticale e stilistica della lingua verso la quale lavora, alla velocità e all'efficienza. Si tratta dunque del ramo più concreto, in contrasto con la forte impronta teorica degli studi filologici, letterari o linguistici propriamente detti, nonché, secondo la mia modesta opinione, il più difficile e gratificante.
Sarebbe inoltre da sviscerare la differenza di base tra la traduzione e l'interpretazione, poiché molti conosceranno sicuramente meglio quest'ultima parola se associata al campo della recitazione o della musica.
In modo molto sommario: entrambe le discipline mirano al trasferimento di un messaggio da una lingua all'altra, mentre però la traduzione è prettamente scritta, l'interpretazione è orale; le due richiederanno quindi competenze e tecniche totalmente distinte, pur condividendo tanti fattori.



La Traduzione:


La traduzione abbraccia una grande quantità di generi e settori, ma si tende normalmente a distinguere tra la branca letteraria e quella specialistica (che comprende una vastità di generi come quello politico, turistico, economico, giuridico, medico, dei mezzi di comunicazione e così via), che, a loro volta, necessitano differenti approcci e metodi per essere svolte al meglio.

L'Interpretazione:


Nicole Kidman qua sopra, in uno dei suoi film più famosi tra gli addetti ai lavori, indossa i panni della figura piuttosto popolare dell'interprete che entra in cabina, indossa un paio di enormi cuffie e, come una macchinetta traduce in simultanea con uno scarto quasi irrisorio rispetto all'oratore. La simultanea è dunque un tipo di interpretazione. Vi sono inoltre la consecutiva, nella quale la resa avviene dopo la conclusione del discorso, durante il quale l'interprete si è dedicato esclusivamente ad una presa d'appunti molto complicata, rapida e sommaria, sulla quale dovrà appoggiarsi nel riportare il maggior numero possibile di dettagli; la trattativa interessa solitamente i botta e risposta o discorsi di durata molto breve tra due o pochi più interlocutori, la cui resa dev'essere dunque immediata. In questi casi, per risparmiare ulteriormente tempo, si può ricorrere anche allo chouchoutage, dal francese "sussurrato", che non è altro che una simultanea "bisbigliata" all'orecchio dell'interlocutore di chi parla in quel momento.

Nella semplicità (forse eccessivamente prolissa) della mia spiegazione spero di non aver annoiato i miei soliti lettori fantasmi; chiedo scusa, ma è una specificazione estremamente significativa per il vostro blogger preferito; no, non quello del blog accanto, intendevo il sottoscritto!

Luv ya!

Nonsense


A quanto pare, di tanto in tanto, sono disposto a mettere da parte le fesserie e scrivere qualcosa di serio. Ciò che in questi giorni mi porta spesso argomenti di riflessione è la mia incapacità di dire di no quando la situazione lo richiede. La casistica è, ovviamente, molteplice, così come le motivazioni che lo richiederebbero ma che, una serie di fattori frenano contro la mia volontà e a cui non riesco a oppormi poiché non sono abbastanza forte.
Non si tratta di un no taciuto per paura di rappresaglie o reazioni violente provenienti dalla controparte, ma di un aver timore di ferirla, deluderla o irritarla.
Le giustificazioni potrei presentarle sempre, ma, per quanto addobbate in modo convincente e presentate sotto la loro luce migliore, si tratterà sempre e comunque di castelli in aria destinati a crollare non appena si abbassa la guardia.
Tutto ciò è spesso coincidente con la necessità di scegliere che via prendere in un bivio nel quale le due 
strade presentano i loro pregi e i loro difetti in un rapporto qualità/prezzo senza sostanziali differenze, la fine del percorso è imperscrutabile e non si sa a cosa ognuna delle due vie potrebbe condurre; vista la mia proverbiale malasorte, in questi casi ho imparato ad aspettarmi il peggio.
Rileggendo questo testo a parecchie ore di distanza, mi accorgo di come sia troppo carico e troppo pesante alla lettura. Ciò probabilmente dipende dal turbinio di idee e paranoie che affollano il mio cervello, conducendolo a perdersi in un bicchiere d'acqua.
Non è semplice trovare un senso ai miei post più seriosi, non provateci neanche. La matassa è inestricabile persino per me che ne sono interessato e non voglio macchiarmi della colpa di aver bruciato i neuroni di qualcuno dei miei inesistenti lettori, i miei sono più che sufficienti.

martedì 27 novembre 2012

Nuvole a pecorelle, pioggia a catinelle

Io ODIO la pioggia.

Va bene, non rientra nel mio stile un incipit così secco, però penso sia una reazione comprensibile e condivisibile dopo aver consultato le previsioni del tempo su internet e dopo aver dovuto raccogliere le mascelle da terra.
Mettiamo immediatamente le cose in chiaro: tutte quelle fesserie smielate e diabetiche su quanto siano romantiche le gocce, che cadono dal cielo come lacrime ecc. ecc., le lascio volentieri agli innamorati; io non faccio parte della categoria e per me restano semplice acqua sporca, gelata e fastidiosa che, puntualmente, rovina qualsiasi piano si abbia per quel giorno o che, sebbene non stia disturbando particolarmente in quel preciso momento, si fa più intensa o comincia a cadere nell'esatto momento in cui percepisce la mia presenza al di fuori delle mura domestiche. La classica "Nuvola di Fantozzi" non è più così astratta quando si parla di me. Posso tollerare le precipitazioni piovose se, e solo se, so in anticipo che non metterò un piede fuori e mi ritroverò, per un motivo o per l'altro, rinchiuso e senza che sia possibile il sorgere di un'emergenza che preveda un'indesiderata -e alquanto bagnata- boccata d'aria. Preciso: "tol-le-ra-re", non "farmi piacere", poiché l'odio che provo nei confronti del maltempo è talmente grande che, anche se non mi tange, le cose positive che la pioggia porta con sé sono incapaci di compensarlo; il risultato è, dunque, una sprezzante indifferenza.


Donne -o gay particolarmente femminili e maniaci delle proprie pettinature, che dir si voglia-, non odiate forse la pioggia per il malsano effetto che ha sulle vostre acconciature sulle quali avete buttato ore ed ore della vostra preziosa vita?
Individui senza ombrello e/o mezzo di trasporto disponibile per recarsi dovunque dobbiate andare, non inorridite alla sola idea di dovervi infradiciare completamente per raggiungere la vostra meta?
Persone tristi e sconsolate, il clima piovoso non influisce forse negativamente sul vostro umore portandolo ancora più sotto le scarpe, costringendolo, magari, a scavare?
Allora qui le cose sono due: o gli amanti delle precipitazioni sono più rari degli unicorni sotto la dittatura hitleriana, o viviamo in un mondo d'incoerenza dilagante.

Come se non bastasse, per quanto io possa sentirmi solidale e di compagnia nei confronti di chi, cinico come me, prova un disprezzo incontenibile per la punizione inflitta dai cirri, cirrocumuli, cumulonembi e compagnia bella (non so neanche quali, tra essi, si incarichi dell'ingrato compito), perdo spesso e volentieri tutta l'empatia di cui mammà mi ha dotato e mi sorprendo a smadonnare davanti a stati su Facebook o Tweet di persone che, evidentemente, ritengono opportuno descrivere le condizioni meteorologiche a chi, poveretto, ha la sfortuna di abitare in dimore prive di finestre. Bitch, please!

Dopo giorni e giorni di odiosi scrosci d'acqua, finalmente, il sole. Dopotutto, come dicevano ne "Il Corvo":


mercoledì 21 novembre 2012

Www.dipendenz@deleteria.com

La tecnologia è una delle più grandi innovazioni che, da sempre, caratterizzano l'umanità. Grazie ad essa qualsiasi azione diventa più veloce, ciò che è difficile diventa incredibilmente facile e le persone lontane diventano incredibilmente vicine. Nel retroscena di ogni gesto quotidiano che compiamo noi in prima persona, e che sembra così facile, c'è in realtà tutto un mondo sorprendentemente complicato che è meglio delegare agli specialisti del settore. L'apparecchio tecnologico è, infatti, di utilità limitata se preso in considerazione singolarmente, basti pensare ad un computer senza connessione ad internet che, nonostante ci dia la possibilità di compiere un discreto numero di azioni, non dà il lasciapassare necessario a mille altre che invece, il mondo del web consentirebbe.

Internet è diventato qualcosa di pressoché indispensabile alla vita di tutti i giorni, la necessità di poter navigare online è, inoltre, inversamente proporzionale all'età anagrafica. Il mondo della carta scompare lentamente: la deforestazione è fuori moda ormai, fa chic risparmiare la vita degli alberi per potersi arrogare il titolo di "Ambientalista del minuto" preferendo un file di Word piuttosto che dieci pagine pinzate di protocolli timbrati.
All'università, per comodità di entrambe le parti -professori e docenti- qualsiasi comunicazione e, anche se a ritmo più lento, i testi e le dispense si convertono in formato ebook, con conseguente risparmio di tempo e denaro. Da sviscerare è, invece, la questione burocrazia che,  nonostante venga notevolmente snellita ed agevolata dalla comunicazione informatica, resta una delle inevitabili piaghe della nazione italiana.

Entrando nel frivolo e superficiale, internet si trasforma nel peggior nemico della televisione che, pian piano diventa un semplice soprammobile da accendere durante frazioni sempre più ristrette della giornata. Ciò avviene vista la crescente quantità di materiali e funzioni che un tempo erano di proprietà di altri strumenti elettronici, mentre adesso vengono condivisi dal maligno oggetto squadrato, fisso o portatile che sia, al quale i dispositivi a lui imparentati guardano con crescente invidia. In questo caso è semplicissimo menzionare semplicemente la possibilità di assistere ai programmi delle emittenti televisive nei loro omologhi canali online: mai comodità fu più condivisa!

Sembra il paradiso, giusto? Effettivamente lo è, parola del sottoscritto, nonché uno dei maggiori webdipendenti sulla faccia del pianeta. Nessuna medaglia, però, è mai stata forgiata solo con una faccia, dunque all'altro lato del paradiso, può esserci, almeno per la parte del mondo che ancora oggi si considera relativamente ricca, il peggiore degli inferni. La seguente immagine ha lo scopo di esplicare ciò a cui mi riferisco:


Cosa succede quando manca la connessione? Non ho la pretesa di generalizzare anche in questo senso: lungi da me! Le reazioni sono così molteplici e variegate che un blog intero non sarebbe sufficiente per enumerarle tutte. Mi limiterò, dunque, a descrivere il mio personale riflesso condizionato alla perdita della possibilità di avere accesso al web o, come sarebbe altrettanto corretto dire, di restare in contatto con il resto del mondo.
Non esiste quasi niente, che implichi la tecnologia, che io non faccia tramite la rete, a cominciare da tutto ciò che concerne l'università: libretto elettronico, comunicazioni dei docenti, slide e dispense, iscrizioni agli esami, email per ulteriori informazioni ecc. Nessuno studente universitario può prescindere dal computer almeno in minima parte.
E' ancora più difficile farne a meno per coloro che, insieme al pane quotidiano, si nutrono di lingue straniere; esclusa l'opzione "estero", internet è l'unico o, comunque, migliore strumento per fare pratica e tenerle vive ogni giorno, cosa indispensabile in caso si sia interessati al raggiungimento di livelli molto alti.
Gran parte dei miei amici vive a vari chilometri di distanza da me, i miei genitori, anche. Chiamatemi sentimentale, ma considero essenziale mantenermi in contatto con loro, se non tutti i giorni, almeno svariate volte durante il corso della settimana. Un tempo le offerte delle compagnie di telefonia mobile elargivano generose concessioni ai loro fedeli clienti in cambio di somme esigue in denaro; oggi, non funziona più così o, comunque, tutto questo non basta più. Ecco che internet, sempre e comunque, tramite Skype, Windows Live Messenger, Facebook, Twitter, Whatsapp (nel caso dei cellulari) e compagnia cantante, offrono soluzioni alla portata di tutti e piuttosto efficienti.
Da un po' di tempo a questa parte, inoltre, sento l'impellente necessità di tenermi informato ed avere almeno una vaga idea di ciò che succede intorno a me; ancora una volta è il web a venire in mio soccorso, dandomi la possibilità di consultare i quotidiani e guardare i telegiornali su quella fantastica invenzione che è internet.

Fino a qui non ho detto niente di nuovo, mi sono semplicemente limitato ad elencare i motivi per i quali, per me, una connessione è così fondamentale. Era però indispensabile per far capire ai miei inesistenti lettori perché l'effetto della sua assenza sia, in me, così devastante.

Inizia la fase nervosismo, della durata, generalmente, di pochi secondi e legata al mancato caricamento delle pagine web come campanello d'allarme che precede l'arrivo dell'imminente catastrofe.
Ad essa, segue sempre una prima forma di disperazione, caratterizzata da braccia che perdono stabilità e tendono a penzolare nel vuoto accanto alla sedia con i movimenti scanditi da sbuffi e sospiri seccati.
La seconda forma di disperazione, anche detta "disperazione vera e propria, inizia ad essere più pesantuccia: divento incapace di stare seduto ed inizio nervosamente a gironzolare per le stanze della casa, pregando inconsciamente e stando bene attento ad evitare di imprecare ad alta voce per non farla arrabbiare, convincerla di aver ricevuto la giusta punizione e spingerla a tornare quanto prima.
Il caos sopraggiunge quando tutto sembra perduto: la connessione ad internet non accenna a voler tornare e la disperazione ha raggiunto il suo apice. Inizio a considerare le opzioni più disparate: tra queste vi è quella di andare a piangere dai vicini pregandoli di fornirmi la password della loro wireless, valutare le offerte migliori per le chiavette, trasferirsi a tempo pieno in una wifi zone, sbattere ripetutamente la testa al muro per fare pietà a Dio, Buddha, Allah, Jahvè, Shiva, Zeus e Rah insieme, affacciarmi alla finestra e gridare come un ossesso: "Torna a casa Lassie".

Dopo un lasso di tempo variabile, che io ritengo TROPPO LUNGO perché incapace di definirlo altrimenti, ella ricompare, discretamente e silenziosamente, quasi senza farsi notare. Ed è così che torna la calma dopo la tempesta e la vita torna al suo ritmo di sempre, asciugo le lacrime e vado avanti, fiero di me, poiché sono uscito ancora una volta indenne da un'astinenza deleteria.
No, non preoccupatevi, non sono così dipendente come sembro, lo sono ancora di più.


sabato 17 novembre 2012

Belt it out!

Stai per uscire di casa, hai preso le chiavi, il cellulare, il portafogli contenente parte dei documenti, i fazzoletti che, in questi giorni di raffreddore, consumi in quantità industriali, indossi la giacca, la sciarpa leggera -non fa ancora freddo- ed esci. Hai fatto in tempo a chiudere la porta a chiave -si sa, alla sorte piace ironizzare- e ti sei accorto che qualcosa manca, le orecchie sopportano troppo poco peso perché sia normale. E' in quel momento che ti schiaffi una sberla in fronte -altrimenti non ci si sente abbastanza protagonisti di un film-, dai le due-tre mandate al contrario sbuffando e ti fiondi alla ricerca del tuo bambino, il lettore mp3/iPod/walkman/lettore cd dimenticato, assicurando le cuffie alle orecchie così saldamente e con tanta solerzia che se avessi impiegato Saratoga ilsiliconesigillante non si sarebbe notata la differenza.
Riesci ad uscire, finalmente, all'aria aperta: per un tempo variabile dai 3 ai 75 secondi sei totalmente isolato dal resto del mondo mentre scegli la canzone più appropriata secondo diversi parametri che concorrono tra loro nella ricerca del brano che calzi a pennello la situazione attuale; alcuni di questi sono: l'umore, lo stato d'animo, il gusto personale, la velocità della camminata e il grado di sfida con cui caricare lo sguardo che ci si sente in dovere di lanciare ai passanti.


Dopo duri momenti di lotta interiore in grado di sfiancare anche gli animi più provati, decidi di abbandonare la pigrizia di un ozioso pomeriggio e pulire quello schifo che continui a chiamare, impropriamente, appartamento. Se camminassi per casa con un paio di trampoli, questi sarebbero probabilmente inghiottiti dai metri di polvere depositatisi dappertutto. Non ti entusiasma l'idea di pulire in un'atmosfera silenziosa: ti intimorisce e non vuoi saltare al primo rumore. Come puoi privarti della colonna sonora giusta che ti dia la carica e lo spirito per tirar fuori la massaia che c'è in te? Prendiamo esempio da uno dei più grandi artisti della storia: Freddie Mercury; non era forse lui che, nel videoclip di "I Want To Break Free" impersonava una bella massaia, con tanto di baffoni, intenta a pulire la casa e, contemporaneamente, a dare fiato ai polmoni? E allora, immaginiamoci anche noi tante belle massaie più o meno mascoline, con o senza baffoni, e sculettiamo allegramente per casa, alzando la gambetta a guisa d'arabesque mentre spolveriamo la mensola più alta della libreria! Personalmente, se ho le mie canzoni preferite ad accompagnarmi, trovo divertente e stimolante sfregare il water!


Prima di andare a dormire, dopo un litigio, una bella notizia, una rottura, un film, al risveglio, in preparazione ad una serata movimentata, o ad una tranquilla, è sempre l'ora dei Sofficini... no, di una playlist di brani scelti a pennello per l'occasione che creino quell'effetto che io ho battezzato "P!nk", ossia che funzionino come carburante in caso di buonumore, o come antidoto alla disperazione nera. Le pene dei vicini che devono avere a che fare con i miei acuti, spaventosamente simili al rumore delle unghie sfregate contro una lavagna, sono dettagli di estremamente poca importanza.

martedì 13 novembre 2012

Getting older



Uno in più si aggiunge al conteggio. Lo scorrere del tempo si fa sempre più rapido alla percezione, che sia un sintomo di maturità e saggezza? Per quanto io apprezzi questa prospettiva, il rapporto guadagni-perdite mi porta a ragionarci su per qualche minuto prima di prendere la decisione finale su quale, tra i due periodi dell'adolescenza e della giovinezza, sia il migliore. Si pensa spesso, ed erroneamente, che l'adolescenza non comporti nessun tipo di responsabilità e nessun fardello da trasportare; che ne è di tutta quella miriade di discorsi sull'accettazione del proprio corpo e, più in generale, di ciò che si è, in modo da non dover indossare una maschera? La lotta interiore comincia proprio nel periodo adolescenziale, ma non trova sempre in quello la sua fine, basti pensare a quelle persone che sperimentano un conflitto con se stesse per tutta la durata della loro vita. Allora forse la domanda giusta da farsi è: vi è un vero e proprio confine tra le fasi della vita?
La compenetrazione e la miscela tra i capitoli della vita è onnipresente: una delle frasi che mi capita di dire più spesso è "Sono un Peter Pan" poiché, nonostante sia cosciente delle mutazioni nel mio modo di pensare, di vedere le cose e delle mie principali mansioni, alcuni dei miei gusti restano invariati e, quando ho bisogno di pensare in modo semplice e quasi ingenuo, so sempre di poter contare sugli arrugginiti meccanismi infantili del mio organo cerebrale.
Tutto sommato, la data del proprio compleanno è uno di quei giorni all'anno in cui ci si può sentire importanti senza dover faticare come dannati e conseguire qualcosa per essere acclamati. Rime involontarie e cacofoniche a parte, se non si è troppo timidi è sempre un piacere ritrovarsi al centro di un gruppo di amici che si accalcano per avere la loro fetta di guancia da spupazzare, per cantare gracchiando "Tanti auguri a te" perché tanto in coro suona meno stonata e per poter mettere la propria parte di soldi ed omaggiare la tua vecchiaia con un pensierino congiunto. I genitori, una volta tanto, cessano di essere pesanti, intorno a te ci sono solo sorrisi e, a patto che tu ne abbia alcuni, abbandoni tutti i pensieri tristi finché la compagnia non manca.
Non piangerò lacrime virtuali giustificate dal rimpianto di un'età trascorsa che avrei potuto sfruttare meglio di quanto non abbia fatto; non rientra nella mia filosofia il fatto di perdere il tempo a disperarmi sull'ormai rancido latte versato. Piuttosto sceglierei di rimboccarmi le maniche ed affrontare il cammino che mi aspetta con qualche ruga in più senza preoccuparmene: la ragnatela è ancora fuori dalla mia portata per fortuna.
Magari suonerà come aria fritta o come una frase pseudopoetica battuta sul portatile di un aspirante blogger sfigato, però ci si rende conto, passo dopo passo, che il regalo più bello ed utile insieme è quello del tempo. La maturità prepara ad affrontare nel modo migliore le sfide e le pugnalate alle spalle della vita, combattendo e prevenendo la nostra impotenza a partire da quando siamo una semplice tabula rasa, creature indifese che, istintivamente, intuiscono già che dovranno combattere ogni momento per ottenere, se non quello che vogliono, almeno il minimo indispensabile per non soccombere.
E' incredibile la mia capacità di divagare trasformando un post riguardante l'invecchiamento in un documentario di Super Quark, questa capacità non era certamente un regalo omaggio per i 23 anni.

mercoledì 7 novembre 2012

Yes, we can!

Tanti secoli fa l'Europa era solita essere l'ombelico del mondo, il centro su cui gli occhi di tutti erano puntati in attesa dell'arrivo delle novità, positive o negative che fossero, e, successivamente, del loro propagarsi nel resto del mondo. Poco a poco, il mirino ha iniziato a spostarsi o, come sarebbe più corretto dire, a clonarsi. Ciascuno dei cloni si è poi spostato verso altre zone a seconda dell'importanza di queste ultime.
Sebbene sia indiscutibile, nonché provato storicamente e scientificamente, che la culla della vita sia l'Africa e l'Europa quella della civiltà, tanto di ciò che conta veramente si svolge sull'altra riva dell'Atlantico, nella federazione a Stelle e Strisce di cui tutti parlano e tutti conoscono: gli Stati Uniti. Si tratta di un odi et amo mai stantio e perfettamente cosciente della propria natura qualificabile attraverso vari gradi di una scala che ha, appunto l'odi e l'amo alle sue estremità; ogni cittadino del mondo si colloca al livello corrispondente al sentimento che prova nei confronti di quella signora Nazione, influenzato dal potere dei media, da una cultura così comoda da trasmettere poiché in tanti casi risulta candidamente banale e che dipinge tanti luoghi come uno stesso luogo attraverso le tinte più attraenti ed appetitose, quasi come un paradiso in terra.
E' sufficiente conservare intatto il proprio senno e ricordarsi di usare il cervello per rendersi conto del fatto che le cose non stanno esattamente così. Anche le disgrazie hanno imparato come attraversare l'oceano e, quasi a voler dimostrare come questo superamento le abbia temprate, si accaniscono ancora più violentemente, ingigantite quanto le loro omologhe: le fortune.
L'esempio più recente, assieme a tanti altri, è stato l'uragano Sandy, uno dei più violenti della storia degli ultimi decenni, dal quale la parte del paese messa in ginocchio, stenta ancora a recuperare la quotidianità.

Quando si è abituati a qualcosa di  misurato, come gran parte di ciò che riguarda un continente di dimensioni ridotte quale l'Europa, tutto ciò che arriva da lontano si ingigantisce, non per una questione di prospettiva, proprio dal punto di vista concreto.
E' dunque perfettamente comprensibile che la figura al volante degli U.S.A. sia la principale dal punto di vista del peso che detiene sulla bilancia mondiale, tutt'altro che equilibrata. Che ci piaccia o no, questi sarà sempre presente in qualsiasi questione internazionale: guerre, crisi economiche, sciagure, manifestazioni, cultura, dibattiti, egli (qualcuno si chiede quando si potrà parlare di "ella") comparirà, puntualmente. Potremmo persino suggerire di sostituire il povero e odiato prezzemolo, di cui tanto si critica l'invadenza nel modo di dire, con il cognome del nuovo regolatore dell'ordine mondiale.



Ed eccoci al nocciolo della questione: Sandy non è stato un avvenimento isolato che ci ha riportato alla mente l'esistenza di una nazione formata da 50 stati dall'altra parte dell'oceano, bensì non si sentiva parlare di niente di diverso da quest'ultima da varie settimane poiché teatro delle nuove elezioni della suddetta figura, colui che sarebbe dovuto essere alle redini del più potente stato del mondo.

Lo ammetto: sono stato sedotto anche io dagli stessi mezzi di comunicazione che, con i loro elogi, sono riuscite ad ammaliare milioni di persone in tutto il pianeta con il cosiddetto "Sogno Americano" e quindi, in vista di un mio -quanto più prossimo- trasferimento mi son sentito in dovere di tenermi informato tramite stampa estera dell'andamento della campagna elettorale fino all'arrivo dello scrutinio.
L'ansia della serata che precedeva i risultati era quasi palpabile anche a casa mia: è successo ciò che normalmente mi capita con le serie tv, si è creata una sorta di dipendenza e di trasporto nei suoi confronti fino al sopraggiungere del climax con l'ufficializzazione dei risultati. L'unica differenza che intercorre tra le elezioni americani e una serie tv è che le prime non lasciano un vuoto dentro quando finiscono, poiché segnano l'inizio della vita di un governo -o del suo continuo- e c'è ancora tanto da aspettarsi.
Quando poi si prende particolarmente a cuore un candidato uscente, e in antipatia il suo sfidante, le cose si fanno ancora più interessanti.
Barack Obama, ricordiamolo, è sempre un essere umano, ma ha donato nuovi impulsi ad una confederazione di stati dalle mille antitesi che non ha mai saputo, e continua a non sapere, apprezzarlo appieno. I passi avanti sono stati innumerevoli, forse troppi agli occhi di tutta l'ala reazionaria che rappresenta una buona metà del paese, probabilmente l'ostacolo maggiore al rinnovamento e al riaffermarsi come potenza mondiale

Nel mio piccolo confido nella capacità delle persone di cambiare, come tanti hanno fatto durante il primo mandato del primo presidente non di pelle bianca, colui che ha catturato i cuori di tante persone, dentro e fuori dagli Stati Uniti perché contribuisca al benessere e al progresso di quella Nazione della quale un giorno, let's hope for the better, io farò parte.


mercoledì 31 ottobre 2012

I nuovi Platinette

Una delle principali caratteristiche del mondo omosessuale maschile che, da sempre, attira la mia attenzione durante il mio vagare in cerca di pettegolezzi -o semplicemente per noia- nei social network, è la tendenza ad intercalare tra nome e cognome un soprannome che, nel 90% dei casi, non lascia dubbi riguardo all'orientamento sessuale del soggetto descritto; nei casi estremi, si giunge persino a sostituire i propri appellativi con i nomi fittizi.
Per quanto si tratti di un fenomeno palese agli occhi di tutti, non mi è mai capitato di leggere nulla a riguardo, e dato che internet è il posto nel quale, attualmente, l'ironia regna sovrana, supponevo che prima o poi qualcuno dovesse colmare questa lacuna.


Uno degli espedienti più comuni è, da sempre, sostituire il proprio cognome con quello del proprio artista preferito, che sia reale o d'arte non importa: è essenziale che la totalità degli utenti di Facebook, Twitter, Tumblr, ecc. ecc. possa assistere alla devozione dell'utente per l'artista. I gay non sono da meno: come da stereotipo, una buona maggioranza si crogiola tra le note e il beat del popolarissimo "Puttan Pop", probabilmente perché racconta di rispetto, uguaglianza e amore per sé stessi con una ferocia tutta femminile di ragazze che cessano di esserlo per indossare la maschera di popolarissimi personaggi in grado di sbancare qualsiasi botteghino e creare ondate sonore a ultravioletti tra un gridolino e l'altro dei fan che, in discoteca, riconoscono alcune tra le loro canzoni più popolari entro le prime tre note. E' così che, sin dagli albori dell'enorme popolarità delle reti sociali, si è assistito ad un proliferare di nomi più o meno comuni accostati a un Germanotta, Ciccone, Del Rey, Spears, Perry e così via. Se la cavia soffre per i suoi sentimenti contrastanti nei confronti di più di un'artista le soluzioni sono semplici e molteplici: accostare più elementi insieme fino al raggiungimento di un cacofonico nome utente socialmente impegnato, è il caso di Aguilera Perry, Minaj Knowles eccetera. In altri casi, se si opta per cancellare qualsiasi dato anagrafico dall'intestazione principale e rimpiazzarlo con la propria "dea-bitch", si tende a scegliere un aggettivo, un nome proprio MASCHILE -per quanto di virilità in quei profili non ne resti la minima traccia- o qualsiasi altra parola dotata di senso compiuto -cosa alquanto discutibile- proveniente dalla hit o dall'album preferiti, nascono così: Alejandro Perry, Marco Hopeless Place -cognome-, Francesco Stripped e tanti altri.

Una menzione a parte meritano le drag queens, le quali possiedono due profili nella maggior parte dei casi: il primo identifica l'individuo che si nasconde dietro la parrucca, i chili di trucco e le gambe invidiate dalla più snella delle donne, ed eventualmente un secondo, quello dell'"artista" in grado di fare faville nei peggiori bar, di Caracas? Ma no! Della notte androgina! Il tutto con tanto di nome che spazia dall'ambito sessuale a quello dell'icona alla quale si ispirano, fino ad arrivare alla marca di vestiario che preferiscono, senza contare quelle che prendono spunto dai loro mascherati predecessori.

Mi dichiaro a favore della totale libertà d'espressione, però proprio per questo motivo, sentendomi libero di esprimermi, lo faccio ridendo a quattro ganasce assieme ad eventuali amici che abbiano notato la propagazione a macchia d'olio di questo movimento "slutty-goddess" che, guarda caso, riscuote la sua popolarità quasi esclusivamente in Italia, il bel paese delle piume di struzzo, delle borse griffate e del tacco 12 che non costituiscono più una prerogativa femminile da ormai qualche anno.


lunedì 29 ottobre 2012

Thrill, shiver, shudder

I brividi sono la massima aspirazione quando si ricerca un'emozione forte per sentirsi completi, per far trascorrere più velocemente un attimo, per sradicare dalla propria mente i pensieri più sgradevoli quando non vogliamo proprio saperne di loro.
La natura del brivido, non sempre direttamente proporzionale alla sua entità, è sempre soggettiva e sottomessa alle personalità, ai gusti ed agli umori. Ciò che c'è di certo è che non si può scindere il brivido dall'emozione; se si pensa anche ad una delle sensazioni più comuni: il freddo, questa ci pone in una situazione sgradevole che ci istiga a coprirci e a desiderare ardentemente di stare al calduccio sotto le coperte o davanti ad un camino acceso. Per quanto la sua natura sia prevalentemente fisica, il brivido di freddo risveglia l'istinto primordiale della ricerca del caldo e, di conseguenza, il desiderio che ci proietta verso quest'ultimo. L'emozione è dunque la conseguenza dell'atto del rabbrividire, non la sua causa.

Considerando solo la naturale reazione alle basse temperature ci si dimostra, però, troppo superficiali e concreti, escludendo in questo modo tutti i fremiti di varia natura che, invece che essere determinati da una situazione reale e della quale si ha un'esperienza fisica, sono sottomessi agli stati d'animo, ai sentimenti, alle emozioni che una particolare condizione ci porta a sperimentare. E' opinione piuttosto comune, poiché probabilmente saremmo automi, cinici o misantropi se pensassimo il contrario, che i brividi legati alle sensazioni, siano molto più socialmente accettabili dato che, con le dovute eccezioni, corrispondono sempre a qualcosa di talmente positivo e piacevole che, se potessimo averne il controllo, sceglieremmo di rabbrividire a vita.

La paura è sicuramente l'eccezione più eclatante: la realtà del brivido di terrore è stata esasperata per anni, in particolare dalla letteratura e dal cinema; quante volte, sin da piccoli si assiste al nostro personaggio preferito rabbrividire visivamente perché spaventato da qualcosa? Nella realtà, parlo per me, sono state ben poche le volte in cui ho percepito un fremito dovuto al timore di qualcosa, capisco però che, probabilmente, si tratta di qualcosa di non assoluto e standard, bensì è possibile dipenda dalle caratteristiche della personalità di ognuno.

...e infine, il piacere. Si tratta di una categoria che andrebbe sviscerata in tutte le sue sfaccettature poiché si tratta di un concetto decisamente troppo esteso per essere descritto in poche righe; per quanto riguarda l'idea di piacere in grado di far rabbrividire sono necessari parecchi distinguo: il cibo, per quanto io provi un amore sconfinato ed incontrastato nei suoi confronti e mi crei una dipendenza ed un'assuefazione uniche nel loro genere no, il fremito non è contemplato nell'orgasmo delle papille gustative.
Per non sentirmi particolarmente in astinenza da quelle categorie di piacere che, normalmente, solleticano il connubio tra corpo e anima ritengo opportuno limitarmi ad elencarle senza approfondirle poiché non mi sento di esasperare la desolazione del lunedì (o martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato, domenica) trevigiano.
Basti pensare al contatto fisico quale il bacio, la carezza, l'abbraccio, il solletico, il grattino e, anche se farà sorridere, la palpatina nel punto giusto. Inoltre, ricollegandomi al discorso sulle temperature, chi è che non ama quella meravigliosa scarica che segue l'atto del provare finalmente il calore tanto desiderato, improvvisamente?

Avevo scritto "infine", bene, non avevo finito; come dimenticare la schiacciante e stupenda trasmessa da una canzone in combinazione con una situazione determinata, con la quale si incastra perfettamente e che le calza a pennello? Non importa che si tratti della nostra preferita, che sia grande e potente, che sia strappalacrime o che l'artista si squarci le corde vocali urlando con il fiato di venti persone messe insieme, quello che conta è l'insieme. Tutto il congiunto è perfetto, a patto che non venga decorato con gridolini ed esclamazioni a ultravioletti degne dei migliori acuti di Aretha Franklin che, in più di un caso, rovinano atmosfere, guastano risate e -e qui giunge il climax della mascolinità che credevo assopita in me- annullano qualsiasi erezione in atto, qualcosa che nemmeno le pillole più blu potranno mai restituire.

Fatemi un PIACERE, non RABBRIVIDITE per il disgusto di leggermi, piuttosto urlate fino a spaccare tutti i bicchieri che avete in casa, lo preferisco.


venerdì 26 ottobre 2012

Mi so trevisan

Treviso è la notte, il buio intenso, quello per il quale si prova un incontenibile, incontrollabile, intrinseco (e altri aggettivi che iniziano con "in") terrore. E' questa la sensazione da me sperimentata all'avvicinarsi del giorno del mio ritorno nella ridente cittadina dell'ala est della Pianura Padana.
E poi quel giorno è arrivato: eccola lì, lei con la sua umidità capace di penetrare qualsiasi osso, i suoi nugoli di zanzare, la sua desolazione, eppure il suo fascino; tolti i suoi infiniti difetti non sarebbe mica così male come città.
Sceso dall'aereo mi ritrovo a lanciare occhiatacce cariche d'odio alternate: una al sardo rude ed incapace di comportarsi decentemente in pubblico, l'altra alla veneta che mi offre un assaggio del suo orrendo e fastidioso dialetto mentre storce il naso davanti alla borsa, certamente non Prada, della donna davanti a lei, il tutto con frasi in italiano con quattro o cinque congiuntivi sbagliati ciascuna.
E' quest'ultima categoria che mi circonderà e mi minaccerà contro un muro per almeno otto mesi, ok, ormai sono sette, suvvia!
I suoi abitanti (o perlomeno quelli che ho avuto la sfortuna di conoscere io) sono il più grande difetto del capoluogo. Avevo sempre sentito varie generalizzazioni sul tipico norditaliano, sulla sua chiusura mentale, attribuita normalmente all'influenza della Lega Nord più forte di quanto si possa credere, sulla sua sorprendente abilità di palesare la propria ricchezza, superiore in tanti casi del normale ed onesto (leggi: non mafioso) comune cittadino del sud, il loro amore per le firme e per le pellicce le quali, nonostante io possa ritenere comprensibile il fatto che il clima sia un tantino più rigido avvicinandosi al Polo Nord, io interpreto solo ed esclusivamente un inutile sfoggio di un capo costoso, alla moda e particolarmente BRUTTO, sia per il macello di bestiole che ha presupposto, sia dal punto di vista estetico. Per quanto tante voci siano arrivate al mio orecchio, non mi piace basarmi sugli echi di corridoio: spesso e volentieri si sono dimostrati inaffidabili e falsi, preferisco di gran lunga basarmi sulle esperienze personali, tanto prima o poi tutti i nodi vengono al pettine.
Una volta tanto, però, le famose voci di corridoio si sono rivelate reali: i trevigiani, a qualunque categoria essi appartengano, sono una "razza" a sé con la quale io non posso, non riesco e non voglio andare d'accordo.
Lungi da me il generalizzare: so bene che non funziona ed odio le persone che lo fanno, ma spesso risulta tanto comodo, nelle descrizioni, categorizzare e fare di tutta l'erba un fascio, dopotutto, in tempi di crisi, diciamo tutti benvenuto al risparmio, sia esso di soldi, denaro o tempo.
In questa inutile cittadina sembra che tutto sia mirato alle apparenze: tutti (ma soprattutto tutte) vestono bene per andare a fare colazione al bar la domenica mattina, per andare dal medico, per fare la spesa, per portare a spasso i cani; la Louis Vuitton a cofanetto non manca mai, così come le Manolo tacco 12 ai piedi e il trucco impeccabile, persino nella signora che avanza lentamente ed a stento gettando tutto il proprio peso su un bastone senza il quale non riuscirebbe a muovere un passo. Ovvio, non è opportuno rinunciare allo stile per un paio di stupide protesi o per una serie di sedute dal fisioterapista quando se ne può fare tranquillamente a meno.

E' matematico (o almeno nella mente dei trevigiani risulta esserlo) che il far finta di avere stile porti con sé un sentimento di superiorità innegabile ed imprescindibile, che a sua volta conduce alle occhiatacce di disprezzo malcelato (o non celato proprio) nei confronti delle seguenti categorie:

-stranieri, che siano regolari o meno poco importa, rubano il lavoro agli italiani anche se l'italiano in questione è un becero contadino che non ha mai fatto nulla nella sua vita mentre lo straniero vanta lauree, master e decine di esperienze lavorative;

-omosessuali, "Scherziamo? Io vado in chiesa e prego tutte le domeniche assieme a mio marito che mi cornifica con la segretaria, mio figlio teppista e mia figlia sciacquetta: siamo pur sempre il perfetto esempio di famiglia "normale";

-"terroni", aggettivo dalla dubbia definizione che, in origine, identificherebbe qualunque abitante di una zona al di sotto del corso del fiume Po, eccezion fatta per qualsiasi regione nella quale il Padano DOC trascorre le vacanze;

-poveri, che arrivano a stento a fine mese e non si possono permettere il Rolex al polso. N.B.: a questa categoria non appartengono i "finti ricchi", ossia coloro che scelgono di mangiare pasta al burro per un mese solo per potersi permettere un capo griffato in più e che, caso strano, costituiscono il 99% dei criticoni in questo senso.

Ho momentaneamente esaurito i miei sproloqui riguardanti la "ridente" cittadina bagnata dal Sile, lamentele intese come sfoghi momentanei e da non prendere seriamente alle quali potrà seguire un secondo capitolo a seconda delle più o meno impellenti necessità o flussi d'odio scaturiti dalla mia persona.
Per ora sono solo stanco di tutto questo verde, non della natura ma di un partito del quale mi vergogno più di quanto potrei mai vergognarmi di me stesso intento a ballare Dirty Dancing, in mezzo ad una piazza, con un tutù rosa shocking indosso.

domenica 21 ottobre 2012

Autobus con le ali

Prendere gli aerei per me è sempre particolarmente stressante, quando viaggio con Ryanair (il 99% delle volte) lo diventa ancora di più. Non voglio autorappresentarmi come il grande viaggiatore che ha girato il mondo, che conosce tutto della vita, che ha il coraggio di mettersi uno zainone in spalla e di partire alla volta di un paese random all'altro capo del mondo alla ricerca di cose nuove per staccare un po' dal tran-tran di tutti i giorni. No. Io mi identificherei in un altro tipo di viaggiatore: quello mentale prima di tutto. Il viaggiatore mentale fa partire la sua mente ancora prima del corpo, perché questa viaggia gratis, a differenza del primo, ed è capace di vagare persino al di fuori dell'universo.

Prima di ricominciare a divagare, e trattare argomenti pseudocomplessi che non interessano a nessuno, torniamo alla Ryanair: lei, così conveniente e, allo stesso tempo, così approfittatrice, propone prezzi sempre e comunque più bassi se comparati a quelli delle altre, però tenta qualsiasi sotterfugio per recuperare la differenza, dall'assicurazione di viaggio ai profumi, dalle sigarette antifumo agli snack di dubbia qualità, il tutto corredato dai sorrisi delle hostess, non proprio emblemi di bellezza, e dalla trombetta irritante che suona ad atterraggio effettuato provocando spesso applausi imbarazzanti quasi sempre ad opera di passeggeri italiani o spagnoli.
Non fraintendetemi: penso che i direttori di marketing della compagnia siano dei geniacci, voglio dire, quale impresa, in tempi di crisi economica e monetaria così profonda, riesce a non risentirne o persino ad aumentare i profitti; tutti hanno bisogno di viaggiare, che sia per piacere, affari o necessità, e tutti prendono un aereo poiché ci sono distanze che non possono essere percorse altrimenti, essendo la compagnia meno cara riesce a trarre guadagni dove tutti gli altri fanno fatica.

Se ogni tanto spunta l'articolo nel giornale online di nicchia o si sparge la voce riguardanti finestrini riparati con il nastro adesivo, o il sorvolare per svariate decine di minuti aeroporti non di destinazione solo per fare rifornimento di carburante poiché sin dalla partenza questo non era sufficiente per affrontare la totalità del tragitto. Nonostante ciò, la compagnia ci tiene a comunicare che, dai suoi inizi, il numero di incidenti è pari a 0. Sarà forse questo il motivo per cui, ogni volta che salgo su di uno dei loro aerei, mi assale una paura incontrollabile causata dal terrore che potrei esserci io a bordo del primo volo sfigato, per statistica?

Prescindendo dal terrore ben celato dentro di me ed imperscrutabile sul mio viso -eccezion fatta per i momenti in cui si incappa nei maledetti vuoti d'aria- non potendo ancora vantare uno stipendio né l'indipendenza economica, mi accontento di servirmi di loro piuttosto che di compagnie aeree di alta qualità i cui prezzi sono, perlomeno, raddoppiati. Forse un giorno potrò persino contare sul mio jet personale: sognare, fino a prova contraria, resta gratis.

mercoledì 26 settembre 2012

Cauchemar

Ero solito pensare a quanto fossi ancora giovane e immerso nei miei studi per poter iniziare a concentrarmi sul mondo del lavoro, specialmente nel caso in cui la crisi economica colpisce l'intero pianeta e tutti gli sforzi sembrano vani, inesorabilmente, dovunque nel mondo ci si trovi in questo momento, si scivola sempre più velocemente verso il basso.

Quest'anno, finalmente, la mia prima esperienza lavorativa: un tirocinio piuttosto che un vero e proprio lavoro, ma ho dovuto comunque reggere gli stessi ritmi degli altri, con meno responsabilità e con uno stipendio più basso.
Come mi è già capitato di scrivere in questo blog coronato da vari disturbi di natura ossessiva-compulsiva, mi sono innamorato del posto, la città è perfetta per me e il lavoro mi soddisfa abbastanza, dunque, dopo averci pensato su per varie settimane, chiesi a quell'incompetenza fatta a persona del mio capo se per caso ci fosse la possibilità che fossi assunto come fisso, non più come tirocinante, per un altro paio di mesi, giusto il primo semestre, il tempo necessario per poter stare lontano dall'altra città nella quale sarei dovuto tornare a breve e nella quale ho trascorso uno degli anni peggiori della mia vita, e poi tornarci solo per il periodo che scorre più rapidamente di tutti gli altri; dapprima ricevetti una risposta positiva e soddisfatta: era una pacchia per il mio "boss" non dover assumere sconosciuti, formarli in un paio di giorni e vivere nell'ansia dei probabili errori che questi ultimi avrebbero potuto commettere, dato che io avevo già ricevuto la mia personale formazione per ben due mesi e mezzo e lei si dichiarava soddisfatta del mio modo di lavorare.

Tutto sembrava dunque perfetto: finalmente, dopo qualche tempo, la fortuna pareva aver iniziato a girare dalla mia parte; eppure sentivo da qualche parte, seppellito sotto una montagna di gioia paragonabile a quella di Cappuccetto Rosso che trotterella nel bosco, il sentimento che qualcosa fosse destinato ad andare storto.
Detto, fatto. Da un giorno all'altro (secondo quanto propinatoci con il suo minestrone retorico) l'impresa, che come tutte le altre affronta un momento difficile dovuto alla maledetta crisi che tutti affligge e solo le banche risparmia, sente la necessità di chiudere un ostello che ha ottenuto un successo strepitoso durante l'estate solo perché, durante la bassa stagione, com'è auspicabile, il numero di prenotazioni è calato. Risultato: tutti in strada.

Decido di non demordere: ho qualche soldo da parte, la città è abbastanza economica, forse per qualcuno che parla quattro lingue trovare un lavoro non sarà un problema così insormontabile. Mi lancio dunque a capofitto in un nuovo hobby: la distribuzione di curricula vitae, che sia online o di persona; l'unica speranza è quella di essere chiamato da qualcuno entro il mese prossimo, speranza piuttosto vana, checché se ne dica, la situazione ha rovinato le vite di gente molto più valida di me e con esperienza pluriennale, perché dovrei essere io il fortunato beneficiario di un posto di lavoro discretamente pagato, se si considera la sfortuna generale che mi perseguita da un anno a questa parte?

Le puntate della mia noiosa esperienza di vita seguiranno a breve, sperate ardentemente per me che lo stalker personificatosi nella sfiga imperante trovi qualcun altro/a a cui interessarsi e che smetta di perseguitarmi.

Stay tuned and you will be updated as soon as possible!

lunedì 10 settembre 2012

Salto nel buio

Continuo a ripetere, non appena mi si presenta l'occasione, di come sia perfettamente consapevole dell'enorme importanza che riveste la mia formazione e il mio futuro professionale, credo di averlo fatto anche qualche post fa; non rimangerò mai ciò che ho scritto, perché lo penso ancora. In tempi come questi il futuro ha la precedenza su qualsiasi altra cosa: la crisi imperversa ed è quantomeno necessario cercare di andare avanti come si può, ringraziando se si ha la fortuna di avere un lavoro.

Facile a dirsi.
Non avevo messo in conto la volubilità, dopo tanto tempo speso sempre nella paradossale routine del cambiamento, arriva un momento in cui ciò che si desidera è solo un po' di stabilità; le ragioni possono essere molteplici: la paura dello sconosciuto, l'amore particolare per un luogo, una persona speciale, un'offerta interessante, la stanchezza.
Non credevo di potermi innamorare così tanto di una città come Granada, eppure avrei dovuto aspettarmelo, ha tutto quello che a me piace: dimensioni ragionevoli, una popolazione abbastanza giovane, dovuta alla presenza di uno dei più importanti atenei del paese, un clima abbastanza temperato, una storia, la semplicità.

Ed eccomi qui, pur cosciente del fatto che non posso restare in Spagna per tutta la vita, alla disperata ricerca di una ragione, qualsiasi cosa, il primo motivo valido che mi consenta di rimanere qui a fare qualcosa di utile e piacevole sufficiente da permettermi di rimanere senza sentirmi in colpa perché sento di star perdendo il mio tempo che, per quanto mi si continui a rimarcare il fatto che la mia età è giovane e ho ancora tutta la vita davanti, questo sfugge e si rivela ogni secondo più prezioso.
Sono combattuto perché mi ritrovo ancora una volta davanti a una scelta fatta tante volte nella mia vita, un bivio nel quale ho preso sempre la stessa direzione, ma ogni volta mi sono ritrovato sempre meno convinto al momento della svolta.
Non è facile, specie se il tempo scorre e la morsa si stringe, la necessità di prendere decisioni rapide cresce e la mia indecisione decide di non lasciarmi in pace per principio.
Non mi resta che buttarmi ad occhi chiusi.

sabato 25 agosto 2012

Orange

Carote.
Tante carote.
Innumerevoli carote.

Vedo un mondo arancione, la cosa non mi sfagiola: non amo particolarmente quel colore. A volte mi chiedo se sia una sorta di partito preso sin da quando ero bambino e volevo a tutti i costi che il blu, mio preferito, stesse bene con tutti; con l'arancione però no, non ci va proprio d'accordo.
Ultimamente mangio troppe carote, ebbene sì, da quando ho letto su internet che aiutano a sviluppare le capacità mnemoniche ho deciso di farne indigestione; se non altro ho perlomeno l'impressione di star facendo qualcosa di utile in vista della prova che mi aspetta tra qualche giorno; questo tentativo sarà fondamentale per la mia vita lavorativa, per la mia formazione professionale e umana, per sentirmi in pace e orgoglioso di me stesso una volta tanto.
Non che non mi senta capace, so di esserlo, ma inavvertitamente finisco per essere pessimista perché so, inconsciamente, che se riceverò una delusione, incasserò più facilmente il colpo senza tanti sforzi.

Da sempre non faccio altro che porre il mio futuro concreto davanti a qualsiasi altra cosa, tutto risulta essere secondario è più fragile, mai in grado di darmi quella solidità che una professione affermata, specialmente in tempi bui come questi, potrebbe assicurarmi.
Ed è così che, senza neanche pensarci troppo, ho rinunciato ad una stabilità emotiva e ad una felicità già assicurata per andare a porre i mattoni del mio grattacielo in altri lidi, lontani, dove non ho comunque avuto difficoltà a provare ancora quella felicità alla quale credevo di aver rinunciato.
L'incognita riguarda il potenziale rischio che tutto ciò che mi ritrovo a fare ora possa un giorno risultare vano.

Romanticismo "de sto cazzo" a parte, non sono realmente nel pieno delle forze, né delle mie facoltà mentali per tirare le somme, specialmente quando l'ispirazione sopraggiunge alle 2:30 della notte, come una zanzara svolazzante intorno al mio orecchio, venuta apposta per tormentare i miei sonni tranquilli.
In tutto ciò, me la sto facendo addosso.

sabato 11 agosto 2012

Sourire

Lavorare alla reception è una mansione non troppo difficile che, secondo le varie angolature, può riscoprirsi tanto interessante; le conoscenze informatiche e un uso attento dei programmi amministrativi che, per dispetto, continuano a disconnettersi ogni trenta minuti, sono fondamentali e, sfortunatamente, coincidono con la parte più noiosa e ripetitiva, ma il bagaglio umano e linguistico che può sorgere da tutto ciò che è complementare alla parte burocratica, se spolverato con la giusta dose di creatività, può diventare davvero enorme.
Decine di persone varcano ogni giorno quella porta a vetri, impiegando dai 20 ai 30 secondi in media per capire come aprirla, mentre io mi sbraccio per cercare di aiutarli a comprendere prima che suonino quel maledetto ed irritante campanello che mi innervosisce incredibilmente, il tutto finché alzarmi ed andare di persona ad aprire la porta resta l'unica soluzione.

La parte che segue è una di quelle più interessanti e, a seconda dell'umore, difficili: richiede enormi capacità di sforzo nello stirare i muscoli del viso e dipingerci su un sorriso; per quanto il cliente sia esigente, scorbutico, irritante o maleducato, bisogna essere capaci di mostrargli/le quanti più denti possibili e tanta sincerità attraverso gli occhi per tutto il tempo che il suddetto trascorre in reception anche a chiederci consigli  in merito a un'unghia spezzata.

Personalmente mi considero alquanto classista: normalmente gli asiatici sono i più tranquilli e, per quanto possano risultare pesanti sommergendo il malcapitato di richieste, trasmettono simpatia e tanta tenerezza, con le loro facce gonfie e con i sorrisi sinceri, mentre fanno del loro meglio per esprimersi in un inglese comprensibile, raramente hanno lamentele da sottomettere e, quando si sentono in dovere di complimentarsi o di ringraziare, lo fanno senza limiti. E' per questo motivo che, normalmente, i sorrisi più sinceri sono riservati a loro.
Il mio patriottismo è stato invece prosciugato dalle desertiche temperature granadine: mi ritrovo costantemente a partire prevenuto nei confronti degli italiani; mi "cagiona" vergogna il modo di porsi della maggior parte di loro, privi di qualsivoglia competenza linguistica, che pretendono di comunicare esclusivamente nella loro lingua, richiedendo implicitamente a chiunque lavori in quel momento uno sforzo maggiore per cercare di comunicare con loro.
Simile, benché non stesso, ragionamento è da farsi con gli anglofoni; è sorprendente come una minuscola percentuale tenti il tutto e per tutto comunicando nella lingua del posto, ma si tratta di uno 0,2%.
La stragrande maggioranza della categoria prende posizione e decide di non sforzarsi nemmeno nei saluti e/o nei ringraziamenti, dovuto probabilmente a quello sciovinismo imperante che sembrano che acquisiscano sin da piccoli tramite impianto di un chip nell'apposita zona del cervello. Normalmente la categoria più aperta sono gli australiani, sebbene molti americani "easygoing" si lascino andare altrettanto facilmente.

Il guaio si presenta quando le otto ore di turno in reception sono contrassegnate da un malumore costante, causato da una brutta giornata, una brutta notizia o, semplicemente, un risveglio con il piede sbagliato: a momenti qualche espressione scortese sfugge, qualche tono un po' più secco risuona, qualche sorriso risulta più falso del solito o non viene proprio fuori. Se a tutto ciò si aggiunge la telefonata del capo che, pur non avendo la minima idea del lavoro in reception, non avendolo mai sperimentato poiché passata rapidamente e misteriosamente da donna delle pulizie a direttrice (presumibilmente mediante apertura gambale), si sente in dovere di dare la sua decina di ordini quotidiani e di rimproverare senza una vera motivazione.

Qua le difficoltà nel non subire attimi di stress crescono, ma aiutano anche a reggere una pressione che forgia e, chissà, alla fine del turno, può essere gratificante, come riuscire a spiegare una mappa della città in un francese relativamente fluente senza commettere "trop de fautes".

mercoledì 25 luglio 2012

Granata

Il senso di colpa per l'abbandono della scrittura torna puntualissimo e doloroso come una spina nel fianco, ma, considerato che finalmente la monotonia è stata scossa, mi ritrovo qui con qualcosa da raccontare tra le dita.

Spessissimo mi ritrovo a  pensare di essere nato nel paese sbagliato, e il sentimento è confermato dalla rabbia, la frustrazione, la vergogna e il bisogno di fuggire che l'Italia mi trasmette ogni due per tre. Cambiare aria è sempre positivo, specialmente per chi non va tanto d'accordo con la routine; nel mio caso il "non andare d'accordo" viene estremizzato in "sentirsi soffocato".
La mia contraddittorietà mi spinge spesso e volentieri, comunque, a non riuscire a riappacificarmi con la mancanza di stabilità che il rifiuto della routine impone, ed è per questo che, nonostante sia perfettamente consapevole del carattere fugace di un periodo o di un momento, il mio istinto mi conduce alla ricerca di qualcosa di definitivo o, quantomeno, rassicurante.

No, a dire la verità non è neanche qualcosa di così ricorrente negli ultimi tempi. Il mio lavoro copre gran parte della giornata, mi mantiene troppo occupato e mi fa passare completamente la voglia di pensare.
Sto bene, sono in pace e felice, evito semplicemente di lamentarmi, come invece farei di solito.
Probabilmente dovrei fare qualcosa di concreto per esercitarmi in vista di quel maledetto test che è ormai diventato la mia ossessione, ma non riesco a renderlo la mia priorità in questo momento, ritengo di essermi meritato un po' di riposo cerebrale.

L'Alhambra. Devo ancora visitarla.

mercoledì 20 giugno 2012

Perle


Qualche mese fa, su Facebook, vigeva la moda tra me e i miei amici di regalare i nostri "Mi piace" alle pagine fan in sé vuote, ma i cui titoli rappresentavano stralci di vita quotidiana, alcuni di quei gesti e di quelle usanze che tutti noi abbiamo e che, descritti da un linguaggio forbito totalmente fuori luogo e corredati da un'immagine random, erano in grado di farci ridere o, perlomeno, sorridere.
Durante il mio vagare nella Home del sito alla ricerca di nuove pagine da premiare con la mia adesione, un giorno mi imbattei in una diversa dalle altre, non vuota ed insignificante, con il solo intento di provocare il sorriso quotidiano, bensì interessante, profonda, ricca e meritevole. Si trattava di un grande raccoglitore di pensieri, emozioni e massime sulla vita quotidiana, scritte in un italiano corretto, cosa rara di questi giorni, in grado di affrontare le tematiche più disparate: da quelle più superficiali, a quelle più profonde, dalle realistiche alle fantastiche, dalle più pregevoli alle più scabrose, il tutto senza mai esagerare superando quella linea invisibile, tracciata dalle coscienze dei fruitori, del limite. Dietro tutto questo, un semplice ragazzo più o meno della mia età, mio conterraneo e persino della mia stessa "parrocchia"; tutto questo non faceva altro che fargli acquisire punti e a contribuire alla crescita della mia stima nei suoi confronti; ritenevo che fosse davvero difficile trovare qualcuno come lui, in grado di esprimersi in modo così graffiante e polemico, senza però mai stridere; il tutto, mescolato a fuoco lento, gli ha permesso di cucinare un piatto di haute cuisine in grado di accaparrarsi l'approvazione di tanti e una grande popolarità nel mondo virtuale e non.
Mi capitò così di accedere quotidianamente al suo angolo di social network per tenermi aggiornato in merito alle sue pubblicazioni, pronto a condividerle sul mio profilo in caso le ritenessi degne.
L'amministratore della suddetta pagina, della quale non scriverò il titolo poiché non ritengo sia troppo difficile da indovinare, resta comunque un essere umano e, come tale, è soggetto come chiunque altro ai difetti e alla volubilità che contraddistingue tutti noi; oggi la pagina conta circa 75000 fans, tutti attivissimi e superentusiasti  nella venerazione del loro nuovo idolo che, proprio perché essere umano, si crogiola nella loro ammirazione; con un esordio da pubblicitario, pubblicando ogni tot annunci di esterni che lo pagavano perché li rendesse visibili ai suoi fans, si è esteso al mercato tessile, stampando alcuni dei suoi più celebri aforismi su magliette, lanciando così la nuova moda dell'estate. Il processo del montarsi la testa era ormai cominciato, e niente e nessuno poteva più arrestarlo; l'ultima novità è quella dell'uscita, prossimamente nelle peggiori librerie, di un libro, raccoglitore cartaceo delle sue più famose "Perle".
Da sottolineare tra i suoi più grandi difetti è senz'altro la sua scarsa, per non dire inesistente, considerazione per la democrazia: a chi fa piacere un commento negativo? Credo pressoché a nessuno, d'altronde il masochismo non è poi così diffuso; e certo, bisogna distinguere gli insulti e le critiche pesanti da quelle costruttive e dalle libere opinioni, e allora perché proprio queste ultime sono sistematicamente eliminate assieme alle prime senza il benché minimo riscontro o risposta civile? Probabilmente il nuovo divo del social network è giunto a quel livello di superbia paragonabile solo a quello di un dittatore.
Ora, fermo restando che una discreta dose di talento da parte sua sia innegabile, ritengo non sia comunque un qualcosa di così smisurato data la superficialità alla quale ormai sacrifica la stragrande maggioranza delle sue massime che, sicuramente, non mi trasmettono più ciò che facevano agli inizi, per giunta a ciò vanno aggiunti i palesi plagi da stati e pubblicazioni altrui che vanno ad arricchire un repertorio che rappresenta ormai una montagna di leccornie che la gente assalta continuamente accecata dal loro aspetto così prelibato.
Probabilmente il sedicente scrittore dovrebbe ricordarsi che non è realmente un artista, come evidentemente le sue convinzioni lo spingono a definirsi, bensì esclusivamente un ragazzotto abitante della provincia disoccupato con una connessione a internet che, ahimè! Non smette mai di trasmettere.

martedì 5 giugno 2012

Distrazioni

Direi che in questo caso non si parla di "leisure activities", bensì di uno dei difetti più grandi che mi ha sempre caratterizzato. Lessi una volta che i classici distrattoni incapaci di ricordare persino le cose più ovvie, o di concentrarsi, devono dare la colpa esclusivamente al loro cervello e alla loro intelligenza superiore alla media, combinazione che li induce a pensare e ragionare su troppe cose contemporaneamente; per quanto, a titolo di giustificazione, l'abbia sempre ritenuta una spiegazione piuttosto soddisfacente, non credo serva realmente a spiegare un qualcosa che vivo sin da quando ero piccolo. Non ricontrollo, lascio le cose a metà, incomplete, le scordo, le colpisco con la mano accidentalmente facendole precipitare nel pozzo nero dell'oblio.
La distrazione è anche uno dei vari motivi per i quali son rimasto qualche settimana senza dare notizia di me in questo blog; non che qualcuno le stesse aspettando: da diligente avido frequentatore di social network e mezzi di comunicazione vari non sono mai stato negligente nel dare mie notizie a coloro i quali avrebbero potuto esserne interessati.
Condivido e condividerò sempre il precetto fondamentale secondo il quale l'accettazione delle persone è un passo fondamentale per vivere in pace con gli altri e intessere rapporti interpersonali, ma certi ambiti non si sposano in modo adeguato con certi difetti, anzi, il primo appuntamento stesso è disastroso.
Sarebbe bello se fosse semplice liberarsi di una parte indesiderata del proprio carattere nei posti giusti e nei momenti giusti, ma nessuno ci ha mai provvisti di questa possibilità, possiamo solo darci da fare per tentare di modificarci e di adattarci; che non si finisca mai di imparare e di crescere è un fatto, si tratta esclusivamente di porsi degli obiettivi e di evitare di divagare come me in queste pagine elettroniche per le quali continuo a non trovare un senso.

mercoledì 2 maggio 2012

All good things come to an end

Esiste un pensiero che spesso mi perseguita, lo fa da un paio d'anni a questa parte e continuerà a farlo ancora per un po', almeno finché non mi abituerò e diventerà davvero una routine: tutte le cose belle prima o poi giungono ad una fine; verità assoluta, sfido chiunque a contraddirla. Mi stranisce quasi che nessuno abbia ancora avanzato proposte per eliminare la fraseologia "per sempre" dalla faccia dei vocabolari e delle grammatiche, poi soffermandomici ricordo anche che, effettivamente, anche altre parole quali "dio", "magia" o "genuino" vantano un'esistenza lunga e indiscutibile che si protrarrà ancora, per quanto indichino realtà inesistenti ed irrealizzabili.

No, aspettate! Non chiudete ancora la pagina! Prometto che cercherò di impostare questa nota in modo da evitare il solito taglio depressivo e suicida che, anche involontariamente, contraddistingue la stragrande maggioranza di ciò che scrivo per diletto.

E' vero, non è mica una novità, tutti ne siamo consapevoli, anche indirettamente, sin dal momento della nostra nascita. Sappiamo che la piacevole e calda poppata finirà; evitiamo di ricordare che il pomeriggio passato a giocare con i nostri amici dura solo poche ore, e così via per qualunque cosa. E' parte delle cose della vita, e come tali siamo chiamati ad accettarle senza possibilità di cambiamento, è come un contratto vincolante che siamo stati chiamati a firmare senza leggere i cavilli e le clausole scritti a caratteri microscopici.
In sé è un male, ma nelle mie infinite (e sostanzialmente inutili) riflessioni, in quei momenti in cui non ho niente di meglio da fare, con una canzone potenzialmente capace di farmi rabbrividire, attimi in cui mi sento profondo almeno quanto la Fossa delle Marianne (stesso identico sentore che mi pervade quando scrivo di getto in questo blog), arrivo anche alla conclusione, forse più per auto-convincimento paliativo che per altro, che è proprio la loro fine predestinata a renderle così saporite, piacevoli, soddisfacenti e degne di essere vissute.
Mi sbaglio? Questione di punti di vista. Condivisibile o meno che sia, cerco di immedesimarmi in un mondo nel quale tutto ciò che è più bello per noi ha una durata illimitata.
La reazione più spontanea a tutto ciò sarebbe un banalissimo: "Che noia!"; siccome, però, io sono un ragazzo colto, riflessivo e tanto creativo, decido immediatamente di ampliarla formulando il seguente "postulato": gli esseri umani hanno un'insita capacità di adattamento alle situazioni nelle quali vivono, la cui durata varia da individuo a individuo, che conduce ad una monotonia stagnante. In parole povere, non sappiamo accontentarci, ed inizieremmo immediatamente a lamentarci.
Paradossalmente, se potessimo scegliere, opteremmo per l'infelicità, se non altro è in essa che sta racchiuso il piacere, seppur fugace.

giovedì 26 aprile 2012

Sforzi vani

Immaginate che tutte le vostre speranze e aspettative per il futuro possiedano un'essenza materiale, palpabile. Ora raccoglietele e modellatele nella forma che più vi soddisfa.
Pensate, dunque, di vivere in una situazione tale che siate liberi di strapazzare la vostra creazione, giocarci, farla rotolare, riparare qualunque crepa si formi sulla sua superficie; state bene attenti però: meglio assicurarsi che non cada!
Infine dipingete nella vostra mente, anche ad occhi chiusi, se può aiutarvi, una scena nella quale lei riesce a sfuggire dalla punta delle vostre dita e cade al suolo. In quel momento lei si frantuma in tanti pezzi, troppi perché possano essere incollati ancora una volta, uno ad uno.
Una buona parte della filmografia e della musica di tutti i tempi, tra le tematiche ricorrenti, ha sempre presentato la storia di persone intente a perseguire i propri sogni, cercare la via meno tortuosa che conducesse al successo; in altri casi si tratta di esortazioni contro l'abbandono delle proprie condizioni e desideri, quasi fossero cuccioli che, in estate, risultano ingombranti e d'intralcio e vengono lasciati sul ciglio delle autostrade.

Lo ammetto, anche io mi lascio facilmente ammaliare dai testi in tanti casi pseudo-poetici e dalle melodie pop-rockeggianti, ma la realtà è un'altra; penso sia sempre meglio restare con i piedi per terra e, contrariamente al proverbio, fasciarsi la testa prima di romperla, se non altro i colpi vengono attutiti e le ferite sono di minor portata.
Il mio fine 2011-primi mesi del 2012 non è stato un periodo positivo, proprio da nessun punto di vista. Che fare quando, pur essendo una delle persone meno arrendevoli di questo mondo, si arriva ad un culmine nel quale la tentazione di lasciarsi andare è forte, perché la strada alternativa è tutta in discesa, così in discesa che conduce ad un pozzo senza fondo?
Resta solo da sperare che, quando toccherò il fondo, possa trovarci un argano non troppo arrugginito e in grado di riportarmi al punto di partenza.

sabato 14 aprile 2012

Home... or not?

Resto sempre e comunque convinto, per quanto fatichi ad ammetterlo persino a me stesso, che per svariati motivi si rimarrà per sempre legati alla propria città natale. Non c'è nulla che si possa fare, nonostante l'odio per la stessa ci conduca a lottare con tutte le nostre forze per evitarla e non averci più niente a che fare, lei sarà lì, sempre presente nei nostri documenti d'identità e, cosa ancora più indelebile, nei nostri ricordi.

Non torno tanto spesso a Nuoro, mi limito solo alle vacanze; d'altronde, non essendo ben collegata, non posso permettermi di affrontare troppi viaggi. Solitamente i miei rimpatri coincidono con le vacanze di Natale, Pasqua ed estive; non è un così gran sacrificio per me rientrare, ma la mia passione sregolata per le iperboli mi porta ad ingigantire qualunque cosa. Oserei quasi dire che, talvolta, ci vado anche volentieri: si tratta di quei casi in cui non vedo la mia famiglia da tanto tempo e sento il bisogno (contornato da un senso di dovere) di passare del tempo con loro che, nonostante frequentemente le aspettative siano di pesante stress entro i primi cinque giorni, mi accorgo in realtà di come i rapporti si evolvano e cambino in proporzione al mio maturare (una verità supposta) e al loro invecchiare (una verità innegabile).
Lo stesso vale per l'ambito familiare più esteso: fortunatamente mi posso beare di non avere i cosiddetti "parenti serpenti", bensì persone che provo reale piacere nel visitare e nel passarci del tempo insieme.

L'ambito familiare resta e resterà sempre un porto sicuro ed affidabile, nel quale, fino al raggiungimento dell'indipendenza economica, saprò sempre di potermi rifugiare; quello che riesce a deprimermi più di qualunque altro è quello cittadino in sé. Ora, è assolutamente necessario specificare che, avendo vissuto in città decisamente più estese, non posso né voglio aspettarmi niente in pompa magna, però resta pur sempre un capoluogo di provincia di quasi 40000 abitanti, non voglio davvero pensare che nessuno abbia voglia di organizzare una serata decente di sabato sera per passare una manciata d'ore senza pensieri, mettendo da parte gli stress della settimana e, al contempo, prepararsi psicologicamente a quelli della successiva in vista della domenica, il giorno decisamente più distruttivo di tutti dal punto di vista psicologico.

Ammettiamolo, Nuoro non prova neanche ad atteggiarsi come una città, ci rinuncia in partenza perché è consapevole del fatto che mai sarà in grado. Allora, domando io, perché mai chiedersi il motivo per cui tutti van via in cerca di costruirsi una vita soddisfacente altrove se è palese? Non ci sono opportunità, non ci sono mai state e sono sprofondate ulteriormente nei tempi di crisi; se prima era una città morta, ora è anche sepolta. Io mi limito a continuare a tornarci solo ed esclusivamente per le vacanze, evitando di rimanere sempre più colpito dalla sua desolazione e tenendo sempre a mente le mie fughe verso nuove mete sempre più distanti.