domenica 5 gennaio 2014

Nuovo anno, nuovi propositi

Un nuovo anno equivale ad un nuovo inizio, per tanti. Il problema è che spesso e volentieri il tutto si ferma al calendario, senza mai trasformarsi in qualcosa di concreto.

Nonostante ciò, tutti amiamo tirare le somme e fare i bilanci tra il 31 dicembre e i primi giorni dell'anno seguente. Ci sentiamo profondi e solenni, scrittori talentuosi con le potenzialità di scrivere autobiografie esplosive che diventeranno best-seller nel giro di un paio d'ore. Tuttavia siamo sempre noi, gli stessi comunissimi e banali individui del giorno prima. E altrettanto invariato è rimasto il mondo circostante. Qualcuno è morto, qualcuno è nato, c'è qualche coccio di vetro in più per le strade, abbiamo conosciuto nuove persone, ma niente di relativamente straordinario è accaduto.

Se non altro, la pratica di ripercorrere l'anno precedente ci consente di riflettere, attivare il cervello e prendere qualche minuto per noi stessi. Probabilmente anche questi pensieri non condurranno a niente di rilevante. Non ci renderanno sicuramente gli eroi in grado di salvare il pianeta dai disastri che lo minacciano e nei confronti dei quali continuiamo ad essere spaventosamente negligenti. Tuttavia è una buona opportunità (per tanti, l'unica) di alzarci e fronteggiare i problemi, le questioni, le paure e le preoccupazioni dalle quali non abbiamo fatto altro che fuggire per i precedenti 364 giorni. E' in questo momento che realizziamo che, forse, qualcosa l'abbiamo imparato. La nostra memoria aveva solo bisogno di essere rinfrescata.

Io mi ritrovo tra i tanti che amano tirare le somme e ripercorrere quanto accaduto l'anno precedente. Solitamente mi ritrovo a farlo a tempo perso, saltuariamente, dato che preferisco tenermi occupato con qualunque altra cosa per non pensare.
Ecco le lezioni che ho imparato nell'anno appena trascorso:

-Rilassati. Nessuno ti fustigherà, frusterà o lapiderà in caso ti sia impossibile accontentare le richieste e i bisogni di tutti. E' comprensibile non essere propensi a deludere le persone che ci circondano, ma l'auto-annichilarsi per poi incasinare tutto non è la soluzione.

-Non avere fretta. Pazienta e non temere il tempo che passa. La fretta è sempre una cattiva consigliera e, anche se il tempo scorre inesorabilmente, per quanto ci sforziamo non possiamo fermarlo. Prendiamoci tutti gli istanti di cui abbiamo bisogno senza, per questo, perderli.

-Abbi più fiducia e credi di più in te stesso. Riceverai continue delusioni che ti butteranno giù, a seconda di quanto importanti percepirai le cose che le riguardano, ma non sei da buttar via. Prima o poi qualcuno se ne accorgerà e saprà come prenderti.

-Il corpo non va trattato come un rottame. Non smetterò certamente di bere, semplicemente cercherò di moderarmi ancor di più. Mi iscriverò in palestra ed inizierò a coltivarlo. Magari, un'alimentazione più varia potrebbe essere un'altra buona idea.

-Leggi e coltiva la mente. Non ho tanto tempo. Quando lavoro mi stanco e non ho voglia di impegnare il cervello. Nel fine settimana ho solo voglia di rilassarmi e divertirmi. Tuttavia, un libro è sempre un ottimo passatempo e aiuta a sentirsi bene.

-Viaggia quanto più puoi e gira il mondo. L'unica risoluzione per la quale non mi ritrovo ad affrontare me stesso. L'unico grande ostacolo è rappresentato dal denaro.

Una rettifica è qui d'obbligo: non so quanto il termine "imparate" sia consono in questo contesto. Purtroppo per ora posso solo tenerle presenti. Quando inizierò ad applicarle potrò dire di essere in pace con me stesso. Intanto le ho scritte in modo da avere un monito e tenerle sempre presenti, nel caso in cui dovessi perdere la bussola.

domenica 29 settembre 2013

Aspettative

Gli italiani a Londra: una piaga sociale?

Essere giovani implica vivere di sogni e miraggi, a dispetto del proprio realismo e della propria capacità di mantenere i piedi ben piantati sul terreno.
Quando si è giovani, e il proprio paese affonda lentamente e inesorabilmente, gettando via tutta la zavorra per tentare di rallentare la colata a picco, spesso non resta altra scelta che balzare sulla prima scialuppa e tentare di sopravvivere e di essere raccolti dalla prima nave di passaggio. La mia passione per le metafore non dà tregua. Più concretamente, il sud Europa non si trova nella situazione migliore in questo momento: è sotto gli occhi di tutti e tutti ne parlano, dunque non trovo interessante approfondire questo aspetto. Una delle conseguenze è il taglio dei posti di lavoro e, quindi, delle opportunità per coloro che, come i giovani, si trovano tagliati fuori da qualsiasi settore, avendo vissuto troppo poco tempo per poter vantare qualsivoglia tipo di esperienza in un settore.
Si è amplificata, come risultato, la tendenza di saltare sul primo aereo e trasferirsi nella mitica Londra, la Mecca europea del lavoro, almeno fino ad una decina di anni fa. Mezza Europa, nonché buona parte del resto del mondo, attirato dalle innumerevoli opportunità, ha pensato bene di sfruttare ciò che la città offriva, e continua ad offrire, e tentare di sbarcare il lunario.
L'Italia è stata una delle principali fonti di immigrati per la capitale britannica, portando con sé la loro emotività, lo loro conoscenze culinarie e non e spesso, ahimè, la loro inciviltà.

Sino a dieci anni fa valeva ancora la regola del partire all'avventura, senza affannarsi troppo nel pianificare il tutto, tanto le offerte di lavoro erano una valanga e un paio di giorni erano sufficienti per potersi considerare stabiliti.
Quello che la gente oggi non realizza, è che la situazione non è nemmeno alla lontana paragonabile al passato. La crisi economica non ha risparmiato la Gran Bretagna, e persino i nativi con importanti titoli di studio inciampano su mille ostacoli prima di riuscire a trovare un impiego. Tantissimi miei compatrioti invece si ostinano ad adottare il metodo dei loro predecessori e accorrere in massa senza essere nemmeno minimamente in grado di mettere due parole in fila nella lingua locale, qualche dio solo sa come pretendono di trovare lavoro essendo impossibilitati a comunicare. Non c'è dunque da sorprendersi se, dopo qualche mese, abbandonano anche l'altra nave per tornare a quella che già conoscevano.

D'accordo, indubbiamente il mio percorso è stato più semplice in quanto partivo già con un solido sostegno linguistico che non ha faticato a crescere rapidamente nonostante io mi trovi sul posto dopo due mesi, e la cui conoscenza, coadiuvata da quella di altre lingue importanti, mi ha aperto parecchie porte sin dal primo momento. Eppure, non mi sognerei mai di avanzare la teoria del considerarmi sistemato per sempre, in quanto mi ritrovo in una situazione non meno insicura di quella di tanti altri, proprio per questo tengo le mie aspettative ad un'altezza ragionevole.

D'altronde, piove anche troppo spesso su questa grigia città per poter essere positivi riguardo qualcosa.

domenica 15 settembre 2013

Paws up! Ma forse anche no

Ultimamente, una costante tematica che entra a far parte delle mie conversazioni è la mia ormai superata passione per Lady Gaga (o GaGa?).

Non sono mica lontani il 2010 e il 2011 quando, ai miei primi anni di università e nel muovere i miei primi passi nella frequentazione di vere e proprie discoteche, facevo del mio sfegatato supporto nei suoi confronti la mia bandiera, un vanto o persino una ragione di vita.

Con il senno di poi mi rendo conto di quanto un ragionamento del genere possa essere ascritto ai tipici comportamenti adolescenziali. E l'imbarazzo non è indifferente.
Dopo una breve pausa per presunti problemi di salute, la beniamina tanto amata dagli omosessuali è tornata con un nuovo album, un nuovo progetto non necessariamente particolare o innovativo, per quanto, a suo dire, qualunque cosa lei faccia potrebbe essere paragonato alle grandi rivoluzioni della storia. D'altronde, cosa apportano di diverso dall'Illuminismo francese le sue canzoni orecchiabili? Non mi sentirei mai di mettere in discussione tale verità assoluta.

Un amico mi ha raccontato di recente del suo incontro ravvicinato del terzo tipo con la popstar -per quanto veritiero o meno possa essere il suo racconto- riassumendolo con una semplice ma spassosa frase: "She was nice at me, but she was talking shit.".
Siamo tutti consapevoli di come la celebrità può dare alla testa spesso e volentieri, che sia per il potere del denaro, che sia per l'uso smisurato di droghe, che sia semplicemente per l'abilità innata dell'essere umano di perdere qualsiasi parvenza di umiltà in occasione del raggiungimento di un obiettivo agognato con ottimi -o anche semplicemente accettabili- risultati.

Resta comunque provato il fatto che, a prescindere dal taglio di nuovi traguardi, la ragazza non ha più quell'aura di novità che poteva trasmetterci fino a quattro o cinque anni fa, bensì ormai ha attaccata a sé quella patina di stantio che attribuiscono i pseudo-conflitti e provocazioni reciproche tra lei e le sue colleghe "bitch".

Con tutto ciò, non intendo assolutamente rinnegare il mio passato da Little Monster, quando anche io trascorrevo un buon numero di minuti giornalieri a provare e riprovare le coreografie delle mie canzoni preferite davanti allo schermo di un computer per poi "allietare" i miei amici riproducendole in discoteca. Semplicemente si tratta di una di quelle tante pagine che, durante la nostra vita, giriamo e teniamo più o meno nascoste nel nostro armadio assieme agli altri scheletri.

Checché se ne dica, negherò mai che, ancora oggi, l'acuto "I don't wanna be friends" verso la fine di Bad Romance è ancora una delle cause della mia afonia la domenica mattina.

lunedì 2 settembre 2013

Solitudine forzata

Un abbozzo di riflessione della domenica pomeriggio/sera/notte che ho deciso di condividere coi miei fantomatici lettori.
A seguito di un fine settimana di devasto e festeggiamenti, dopo aver finalmente trovato il mio posto in città, nonché uno scopo concreto per il quale svegliarmi tutte le mattine, arriva quella giornata durante la quale si tirano le somme della settimana e il male di vivere ci sovrasta e decide di appollaiarsi sulle nostre spalle -o teste, nel caso in cui si sia alzato il gomito la notte prima- come i pappagalli sui trespoli: la domenica.

Tra una chiacchiera e l'altra, rigorosamente per via telematica, perché non ho alcuna voglia né forza di schiodarmi dalla mia camera da letto, si giunge improvvisamente ad un discorso che parrebbe impegnato: gli scopi della vita.
Ok, forse metterla in questo modo è un po' troppo generico, la discussione verteva principalmente sulla condivisione della propria vita assieme ad un'altra persona.

Qualcuno una volta mi disse che veniamo cresciuti con la convinzione che noi esseri umani affrontiamo gli ostacoli quotidiani con maggiore difficoltà se siamo lasciati a noi stessi e dobbiamo farlo da soli. La stessa persona ha poi aggiunto che niente sarebbe più sbagliato dell'affermazione precedente, in quanto siamo perfettamente capaci, il problema concreto è che la nostra forma mentis non sembra consentircelo.

Mi sono così ritrovato più di una volta a riflettere su questo concetto e su altri aspetti in ordine sparso. In generale mi ritrovo a condividere quanto affermato dalla persona citata in precedenza. E' anche vero, però, che si tratta di un'ideologia talmente complessa e radicata, che vedo completamente inutile, se non deleterio, opporvisi. Vi è inoltre da aggiungere che, nonostante in generale la reputi scorretta, io pensi sia da contrastare. Non ci trovo niente di moralmente sbagliato nel voler affrontare il lungo percorso che si snoda davanti a noi scegliendosi una persona che ci faccia compagnia e che renda le fatiche più leggere.

Quello che mi limito a fare, nella mia paranoia -quando questa non sfocia in vero e proprio terrore della solitudine- è tenermi una porticina aperta verso questa filosofia, se così la possiamo definire, in modo che, se qualcosa dovesse andare storto e io dovessi ritrovarmi solo con me, myself and I, possa essere preparato ad affrontare quello che per tanti, e probabilmente anche per il sottoscritto, è una fobia vera e propria.

Pessimismo? Per farla semplice mi limito a definirlo un "pararsi il culo":

sabato 24 agosto 2013

Il Big Ben e la pioggia

Non riesco proprio ad essere costante nel tenere questo blog aggiornato, eh? Eppure giuro, ci tengo! Il problema maggiore è che ho bisogno di tempo per riflettere su cosa buttar giù e come impostarlo, quindi, nonostante io abbia svariate pause e momenti di vuoto durante la giornata, non sono mai sufficienti. Oppure mi ritrovo ad essere troppo stanco per riflettere e per comporre qualcosa di sensato.

Dopo le consuete pietose giustificazioni, ritengo sia il caso di fare un resoconto del mese e mezzo trascorso dall'ultima volta che mi son trovato a pubblicare un articolo. Avevo lasciato abbastanza sottinteso che un cambiamento si avvicinava, pur senza specificare di cosa esattamente si trattasse. Il mio intento non era quello di risultare misterioso o pseudo-interessante, bensì ritenevo che forse, per scaramanzia, sarebbe stato meglio tenere nascosti al web i miei progetti.
Ora sono qui, nella capitale del Regno Unito, a tentare la fortuna, dopo tanti altri migliori o peggiori che fossero. Non pretendo di trovare subito la strada che mi sono prefissato tanto tempo fa, mi basta semplicemente che funzioni come una buona esperienza per poter acquisire gli strumenti per poi poter intraprendere la mia via.

L'inizio non è mai proprio facilissimo e, dopo tre settimane e mezzo sono ancora in fase di assestamento, ma non mi ritengo una persona arrendevole né facile da piegare, l'ambizione non mi è mai mancata, dunque eccomi qua a cercare di sbarcare il lunario.
Certe volte ci si ritrova a camminare in mezzo al diluvio e con il vento avverso, ma è bene farsi forza anche quando si è lasciato l'ombrello a casa. E' solo questione di tempo prima di raggiungere il riparo più vicino in cui asciugarsi. E poi, da sotto il Big Ben la pioggia può anche risultare apprezzabile poiché crea la perfetta atmosfera.

domenica 7 luglio 2013

La scelta dell'abbandono

"Goodbyes always make my throat hurt, I need more hellos."

Il saggio Charlie Brown ha scoperto questa santa verità tanto tempo prima di me.
Ormai ho assistito a (e sono stato il protagonista di) innumerevoli "despedidas", così tante che non sono più capace di tenerne il conto. Dovrei aver sviluppato una specie di scudo, una sorta di callo in grado di proteggermi dalle lacrime che, inevitabilmente, scendono ogni volta. Eppure non c'è niente da fare: conosco decine e decine di persone nuove e diversissime tra loro ogni anno, e al momento della stretta di mano so perfettamente che un giorno probabilmente dovrò andare via e non le vedrò mai più.
Tante persone transitano per le nostre vite: alcune passano e a malapena ci guardano; alcune altre sostano per un periodo di tempo variabile e poi migrano verso altri lidi; altre ancora giungono per restare; vi sono poi quelle che migrano e poi ritornano, spesso per restare, come se fossimo riusciti a creare con loro una sorta di legame indissolubile ma sufficientemente elastico da permettere loro di allontanarsi per poi fare ritorno subito prima che l'elastico si spezzi.

Spesso, quando scrivo, mi sento come lo sfigatissimo Fabio Volo, con le sue immagini pseudopoetiche. Da quattro soldi. Di seconda scelta. Dei poveri. Però ci tengo a precisare che tendo parecchio a scrivere per flusso di coscienza, dunque non ci ragiono tanto su.

Parentesi random a parte, quando si sceglie una vita di viaggi tutto è più bello, ma anche più difficile. La ricerca della felicità si fa più avvincente, ma anche più ardua, le gioie sono amplificate, ma anche le tristezze e le sconfitte. Trattasi di una filosofia pessimista degna dei migliori discepoli di L'ano del Gay... ops! Lana del Rey, che sarebbe in grado di far risaltare il cupo e il tenebroso anche all'interno del casotto dei gelati dei Little Ponies.

Finora, anche negli addii ho avuto fortuna: è infatti stato semplice tenere vicini quelli a me lontani, a patto che tenessi a loro. Inoltre, l'aver rinunciato alla vicinanza fisica è sempre stato dettato dalla necessità di inseguire i miei sogni e lavorare alla realizzazione dei miei progetti, effettuando scelte mirate al futuro.
Per quanto dura, anche quella dell'abbandono può essere una via voluta.

lunedì 10 giugno 2013

Nuove realtà

Una fine è vicina, un nuovo inizio seguirà.

L'ennesimo cambiamento incombe. Il verbo "incombere" mi fa pensare a qualcosa di estremamente negativo, come una minaccia che avanza inesorabile; i White Walkers di The Game Of Thrones, per esempio, che pur essendo palesemente finti e non spaventosi, mi portano sempre a ridurre la finestra e cercare di assistere al pericolo che rappresentano in miniatura o solo ad una sua parte.
Giusto, magari questo verbo non è il più adatto. Dovrei usare la perifrasi "essere dietro l'angolo", è più neutra.
Dopo tutti i cambiamenti che ho attraversato dovrei affrontarli con un animo molto più tranquillo e rilassato: me la sono sempre cavata d'altronde, ho imparato nuove cose, conosciuto nuove persone e sono cresciuto. Nonostante ciò, non va dimenticato che almeno qualche goccia di timore può funzionare come un ottimo incentivo per lavorare in vista di un rapido adattamento alle circostanze. Inoltre è inevitabile, in quanto è nella nostra natura temere l'ignoto, poiché siamo potenziali prede vulnerabili poste in un ambiente del quale sappiamo poco o niente e che dobbiamo ancora imparare a conoscere.
Solitamente, alla fase appena descritta segue la costruzione di quelli che saranno i presupposti del mio "sentirmi a casa anche nel posto che prima casa non era". E' un vero peccato che ogni volta il raggiungimento del picco coincida con la mia imminente partenza. Avendo però avuto l'opportunità di conoscere meglio le tempistiche e le dinamiche di questo sviluppo, posso correggermi adducendo la teoria dell'"apprezziamo e viviamo le cose al meglio solo quando queste stanno per finire e ci rendiamo conto che, dopotutto, ne sentiremo la mancanza". Ciò non significa certamente che io non abbia mai apprezzato nessuno dei posti ne quali mi sia trovato a vivere, mi riferisco solamente a quelli presi un po' più negativamente.
Cambiare è positivo in sé, in quanto spesso la routine è sinonimo di aria viziata, stagna. Aprire nuove finestre sul mondo per assicurare un buon ricambio d'aria può essere una soluzione validissima, ma ha le sue controindicazioni. In principio, ad esempio, se non siamo abituati alla temperatura esterna, la sorpresa è gradita quanto una doccia fredda. Superato il primo impatto tutto diventa migliore e la realtà circostante ci sorride, fiduciosa delle nostre capacità.

Ma quando arriva la tanto agognata, anche inconsciamente, stabilità?