domenica 29 settembre 2013

Aspettative

Gli italiani a Londra: una piaga sociale?

Essere giovani implica vivere di sogni e miraggi, a dispetto del proprio realismo e della propria capacità di mantenere i piedi ben piantati sul terreno.
Quando si è giovani, e il proprio paese affonda lentamente e inesorabilmente, gettando via tutta la zavorra per tentare di rallentare la colata a picco, spesso non resta altra scelta che balzare sulla prima scialuppa e tentare di sopravvivere e di essere raccolti dalla prima nave di passaggio. La mia passione per le metafore non dà tregua. Più concretamente, il sud Europa non si trova nella situazione migliore in questo momento: è sotto gli occhi di tutti e tutti ne parlano, dunque non trovo interessante approfondire questo aspetto. Una delle conseguenze è il taglio dei posti di lavoro e, quindi, delle opportunità per coloro che, come i giovani, si trovano tagliati fuori da qualsiasi settore, avendo vissuto troppo poco tempo per poter vantare qualsivoglia tipo di esperienza in un settore.
Si è amplificata, come risultato, la tendenza di saltare sul primo aereo e trasferirsi nella mitica Londra, la Mecca europea del lavoro, almeno fino ad una decina di anni fa. Mezza Europa, nonché buona parte del resto del mondo, attirato dalle innumerevoli opportunità, ha pensato bene di sfruttare ciò che la città offriva, e continua ad offrire, e tentare di sbarcare il lunario.
L'Italia è stata una delle principali fonti di immigrati per la capitale britannica, portando con sé la loro emotività, lo loro conoscenze culinarie e non e spesso, ahimè, la loro inciviltà.

Sino a dieci anni fa valeva ancora la regola del partire all'avventura, senza affannarsi troppo nel pianificare il tutto, tanto le offerte di lavoro erano una valanga e un paio di giorni erano sufficienti per potersi considerare stabiliti.
Quello che la gente oggi non realizza, è che la situazione non è nemmeno alla lontana paragonabile al passato. La crisi economica non ha risparmiato la Gran Bretagna, e persino i nativi con importanti titoli di studio inciampano su mille ostacoli prima di riuscire a trovare un impiego. Tantissimi miei compatrioti invece si ostinano ad adottare il metodo dei loro predecessori e accorrere in massa senza essere nemmeno minimamente in grado di mettere due parole in fila nella lingua locale, qualche dio solo sa come pretendono di trovare lavoro essendo impossibilitati a comunicare. Non c'è dunque da sorprendersi se, dopo qualche mese, abbandonano anche l'altra nave per tornare a quella che già conoscevano.

D'accordo, indubbiamente il mio percorso è stato più semplice in quanto partivo già con un solido sostegno linguistico che non ha faticato a crescere rapidamente nonostante io mi trovi sul posto dopo due mesi, e la cui conoscenza, coadiuvata da quella di altre lingue importanti, mi ha aperto parecchie porte sin dal primo momento. Eppure, non mi sognerei mai di avanzare la teoria del considerarmi sistemato per sempre, in quanto mi ritrovo in una situazione non meno insicura di quella di tanti altri, proprio per questo tengo le mie aspettative ad un'altezza ragionevole.

D'altronde, piove anche troppo spesso su questa grigia città per poter essere positivi riguardo qualcosa.

domenica 15 settembre 2013

Paws up! Ma forse anche no

Ultimamente, una costante tematica che entra a far parte delle mie conversazioni è la mia ormai superata passione per Lady Gaga (o GaGa?).

Non sono mica lontani il 2010 e il 2011 quando, ai miei primi anni di università e nel muovere i miei primi passi nella frequentazione di vere e proprie discoteche, facevo del mio sfegatato supporto nei suoi confronti la mia bandiera, un vanto o persino una ragione di vita.

Con il senno di poi mi rendo conto di quanto un ragionamento del genere possa essere ascritto ai tipici comportamenti adolescenziali. E l'imbarazzo non è indifferente.
Dopo una breve pausa per presunti problemi di salute, la beniamina tanto amata dagli omosessuali è tornata con un nuovo album, un nuovo progetto non necessariamente particolare o innovativo, per quanto, a suo dire, qualunque cosa lei faccia potrebbe essere paragonato alle grandi rivoluzioni della storia. D'altronde, cosa apportano di diverso dall'Illuminismo francese le sue canzoni orecchiabili? Non mi sentirei mai di mettere in discussione tale verità assoluta.

Un amico mi ha raccontato di recente del suo incontro ravvicinato del terzo tipo con la popstar -per quanto veritiero o meno possa essere il suo racconto- riassumendolo con una semplice ma spassosa frase: "She was nice at me, but she was talking shit.".
Siamo tutti consapevoli di come la celebrità può dare alla testa spesso e volentieri, che sia per il potere del denaro, che sia per l'uso smisurato di droghe, che sia semplicemente per l'abilità innata dell'essere umano di perdere qualsiasi parvenza di umiltà in occasione del raggiungimento di un obiettivo agognato con ottimi -o anche semplicemente accettabili- risultati.

Resta comunque provato il fatto che, a prescindere dal taglio di nuovi traguardi, la ragazza non ha più quell'aura di novità che poteva trasmetterci fino a quattro o cinque anni fa, bensì ormai ha attaccata a sé quella patina di stantio che attribuiscono i pseudo-conflitti e provocazioni reciproche tra lei e le sue colleghe "bitch".

Con tutto ciò, non intendo assolutamente rinnegare il mio passato da Little Monster, quando anche io trascorrevo un buon numero di minuti giornalieri a provare e riprovare le coreografie delle mie canzoni preferite davanti allo schermo di un computer per poi "allietare" i miei amici riproducendole in discoteca. Semplicemente si tratta di una di quelle tante pagine che, durante la nostra vita, giriamo e teniamo più o meno nascoste nel nostro armadio assieme agli altri scheletri.

Checché se ne dica, negherò mai che, ancora oggi, l'acuto "I don't wanna be friends" verso la fine di Bad Romance è ancora una delle cause della mia afonia la domenica mattina.

lunedì 2 settembre 2013

Solitudine forzata

Un abbozzo di riflessione della domenica pomeriggio/sera/notte che ho deciso di condividere coi miei fantomatici lettori.
A seguito di un fine settimana di devasto e festeggiamenti, dopo aver finalmente trovato il mio posto in città, nonché uno scopo concreto per il quale svegliarmi tutte le mattine, arriva quella giornata durante la quale si tirano le somme della settimana e il male di vivere ci sovrasta e decide di appollaiarsi sulle nostre spalle -o teste, nel caso in cui si sia alzato il gomito la notte prima- come i pappagalli sui trespoli: la domenica.

Tra una chiacchiera e l'altra, rigorosamente per via telematica, perché non ho alcuna voglia né forza di schiodarmi dalla mia camera da letto, si giunge improvvisamente ad un discorso che parrebbe impegnato: gli scopi della vita.
Ok, forse metterla in questo modo è un po' troppo generico, la discussione verteva principalmente sulla condivisione della propria vita assieme ad un'altra persona.

Qualcuno una volta mi disse che veniamo cresciuti con la convinzione che noi esseri umani affrontiamo gli ostacoli quotidiani con maggiore difficoltà se siamo lasciati a noi stessi e dobbiamo farlo da soli. La stessa persona ha poi aggiunto che niente sarebbe più sbagliato dell'affermazione precedente, in quanto siamo perfettamente capaci, il problema concreto è che la nostra forma mentis non sembra consentircelo.

Mi sono così ritrovato più di una volta a riflettere su questo concetto e su altri aspetti in ordine sparso. In generale mi ritrovo a condividere quanto affermato dalla persona citata in precedenza. E' anche vero, però, che si tratta di un'ideologia talmente complessa e radicata, che vedo completamente inutile, se non deleterio, opporvisi. Vi è inoltre da aggiungere che, nonostante in generale la reputi scorretta, io pensi sia da contrastare. Non ci trovo niente di moralmente sbagliato nel voler affrontare il lungo percorso che si snoda davanti a noi scegliendosi una persona che ci faccia compagnia e che renda le fatiche più leggere.

Quello che mi limito a fare, nella mia paranoia -quando questa non sfocia in vero e proprio terrore della solitudine- è tenermi una porticina aperta verso questa filosofia, se così la possiamo definire, in modo che, se qualcosa dovesse andare storto e io dovessi ritrovarmi solo con me, myself and I, possa essere preparato ad affrontare quello che per tanti, e probabilmente anche per il sottoscritto, è una fobia vera e propria.

Pessimismo? Per farla semplice mi limito a definirlo un "pararsi il culo":

sabato 24 agosto 2013

Il Big Ben e la pioggia

Non riesco proprio ad essere costante nel tenere questo blog aggiornato, eh? Eppure giuro, ci tengo! Il problema maggiore è che ho bisogno di tempo per riflettere su cosa buttar giù e come impostarlo, quindi, nonostante io abbia svariate pause e momenti di vuoto durante la giornata, non sono mai sufficienti. Oppure mi ritrovo ad essere troppo stanco per riflettere e per comporre qualcosa di sensato.

Dopo le consuete pietose giustificazioni, ritengo sia il caso di fare un resoconto del mese e mezzo trascorso dall'ultima volta che mi son trovato a pubblicare un articolo. Avevo lasciato abbastanza sottinteso che un cambiamento si avvicinava, pur senza specificare di cosa esattamente si trattasse. Il mio intento non era quello di risultare misterioso o pseudo-interessante, bensì ritenevo che forse, per scaramanzia, sarebbe stato meglio tenere nascosti al web i miei progetti.
Ora sono qui, nella capitale del Regno Unito, a tentare la fortuna, dopo tanti altri migliori o peggiori che fossero. Non pretendo di trovare subito la strada che mi sono prefissato tanto tempo fa, mi basta semplicemente che funzioni come una buona esperienza per poter acquisire gli strumenti per poi poter intraprendere la mia via.

L'inizio non è mai proprio facilissimo e, dopo tre settimane e mezzo sono ancora in fase di assestamento, ma non mi ritengo una persona arrendevole né facile da piegare, l'ambizione non mi è mai mancata, dunque eccomi qua a cercare di sbarcare il lunario.
Certe volte ci si ritrova a camminare in mezzo al diluvio e con il vento avverso, ma è bene farsi forza anche quando si è lasciato l'ombrello a casa. E' solo questione di tempo prima di raggiungere il riparo più vicino in cui asciugarsi. E poi, da sotto il Big Ben la pioggia può anche risultare apprezzabile poiché crea la perfetta atmosfera.

domenica 7 luglio 2013

La scelta dell'abbandono

"Goodbyes always make my throat hurt, I need more hellos."

Il saggio Charlie Brown ha scoperto questa santa verità tanto tempo prima di me.
Ormai ho assistito a (e sono stato il protagonista di) innumerevoli "despedidas", così tante che non sono più capace di tenerne il conto. Dovrei aver sviluppato una specie di scudo, una sorta di callo in grado di proteggermi dalle lacrime che, inevitabilmente, scendono ogni volta. Eppure non c'è niente da fare: conosco decine e decine di persone nuove e diversissime tra loro ogni anno, e al momento della stretta di mano so perfettamente che un giorno probabilmente dovrò andare via e non le vedrò mai più.
Tante persone transitano per le nostre vite: alcune passano e a malapena ci guardano; alcune altre sostano per un periodo di tempo variabile e poi migrano verso altri lidi; altre ancora giungono per restare; vi sono poi quelle che migrano e poi ritornano, spesso per restare, come se fossimo riusciti a creare con loro una sorta di legame indissolubile ma sufficientemente elastico da permettere loro di allontanarsi per poi fare ritorno subito prima che l'elastico si spezzi.

Spesso, quando scrivo, mi sento come lo sfigatissimo Fabio Volo, con le sue immagini pseudopoetiche. Da quattro soldi. Di seconda scelta. Dei poveri. Però ci tengo a precisare che tendo parecchio a scrivere per flusso di coscienza, dunque non ci ragiono tanto su.

Parentesi random a parte, quando si sceglie una vita di viaggi tutto è più bello, ma anche più difficile. La ricerca della felicità si fa più avvincente, ma anche più ardua, le gioie sono amplificate, ma anche le tristezze e le sconfitte. Trattasi di una filosofia pessimista degna dei migliori discepoli di L'ano del Gay... ops! Lana del Rey, che sarebbe in grado di far risaltare il cupo e il tenebroso anche all'interno del casotto dei gelati dei Little Ponies.

Finora, anche negli addii ho avuto fortuna: è infatti stato semplice tenere vicini quelli a me lontani, a patto che tenessi a loro. Inoltre, l'aver rinunciato alla vicinanza fisica è sempre stato dettato dalla necessità di inseguire i miei sogni e lavorare alla realizzazione dei miei progetti, effettuando scelte mirate al futuro.
Per quanto dura, anche quella dell'abbandono può essere una via voluta.

lunedì 10 giugno 2013

Nuove realtà

Una fine è vicina, un nuovo inizio seguirà.

L'ennesimo cambiamento incombe. Il verbo "incombere" mi fa pensare a qualcosa di estremamente negativo, come una minaccia che avanza inesorabile; i White Walkers di The Game Of Thrones, per esempio, che pur essendo palesemente finti e non spaventosi, mi portano sempre a ridurre la finestra e cercare di assistere al pericolo che rappresentano in miniatura o solo ad una sua parte.
Giusto, magari questo verbo non è il più adatto. Dovrei usare la perifrasi "essere dietro l'angolo", è più neutra.
Dopo tutti i cambiamenti che ho attraversato dovrei affrontarli con un animo molto più tranquillo e rilassato: me la sono sempre cavata d'altronde, ho imparato nuove cose, conosciuto nuove persone e sono cresciuto. Nonostante ciò, non va dimenticato che almeno qualche goccia di timore può funzionare come un ottimo incentivo per lavorare in vista di un rapido adattamento alle circostanze. Inoltre è inevitabile, in quanto è nella nostra natura temere l'ignoto, poiché siamo potenziali prede vulnerabili poste in un ambiente del quale sappiamo poco o niente e che dobbiamo ancora imparare a conoscere.
Solitamente, alla fase appena descritta segue la costruzione di quelli che saranno i presupposti del mio "sentirmi a casa anche nel posto che prima casa non era". E' un vero peccato che ogni volta il raggiungimento del picco coincida con la mia imminente partenza. Avendo però avuto l'opportunità di conoscere meglio le tempistiche e le dinamiche di questo sviluppo, posso correggermi adducendo la teoria dell'"apprezziamo e viviamo le cose al meglio solo quando queste stanno per finire e ci rendiamo conto che, dopotutto, ne sentiremo la mancanza". Ciò non significa certamente che io non abbia mai apprezzato nessuno dei posti ne quali mi sia trovato a vivere, mi riferisco solamente a quelli presi un po' più negativamente.
Cambiare è positivo in sé, in quanto spesso la routine è sinonimo di aria viziata, stagna. Aprire nuove finestre sul mondo per assicurare un buon ricambio d'aria può essere una soluzione validissima, ma ha le sue controindicazioni. In principio, ad esempio, se non siamo abituati alla temperatura esterna, la sorpresa è gradita quanto una doccia fredda. Superato il primo impatto tutto diventa migliore e la realtà circostante ci sorride, fiduciosa delle nostre capacità.

Ma quando arriva la tanto agognata, anche inconsciamente, stabilità?

giovedì 23 maggio 2013

Una vetrina sul mondo

Il commercio è alla base di qualsiasi economia mondiale. L'offerta di merci in cambio di altre merci o di un corrispettivo in denaro che permetta di acquistarne è qualcosa di così comune che ormai viene ascritta agli altri tipi di relazioni umane.
I commercianti si sono successivamente rivolti all'estetica per attirare un numero crescente di clienti perché, si sa, il bello richiama l'attenzione dell'occhio. E' così che oggi non esiste negozio degno di questo nome che non esibisca scaffali/teche/mensole/appendini ordinati secondo criteri precisi e ben studiati (pare che sia nata una nuova professione che se ne occupa) e, in particolare, che non curi la presentazione più immediata di tutte, quella che consente ai passanti di decidere se approfondire o meno entrando all'interno dello stabilimento e valutarne più attentamente l'offerta: la vetrina.

Perché tutto questo excursus dal nulla?

Semplicemente mi è stato fatto notare che le chat presentano una conformazione molto simile: ciascuno dei profili è come una vetrina, può sembrare più o meno attraente a seconda dei soggettivissimi gusti di ciascuno. Per ovvie ragioni, l'unica chat che mi capita di frequentare è quella dedicata esclusivamente agli omosessuali. Alcuni potrebbero percepirla come l'ennesimo caso di "ghettizzazione", e non avrebbero tutti i torti probabilmente, eppure al momento si tratta di una delle pochissime alternative esistenti per poter conoscere altri membri di questa "minoranza" senza dover temere rappresaglie, discriminazioni o violenze.
Ed è così tremendamente triste, per quanto reale, che un'occasione per poter parlare con persone che condividono i nostri stessi stati d'animo ed emozioni quotidiane si riduca ad una conferma della promiscuità della quale la categoria è accusata dai bigotti retrogradi ed ignoranti, nonché portatori d'odio. Ormai è diventata così talmente parte del quotidiano che lascia indifferenti.

Facciamo un distinguo, comunque: qua non si critica la semplice ottica della vita all'Hakuna Matata nella quale ci si ritiene sempre troppo giovani per intraprendere relazioni che impegnino la mente e che sono più difficoltose da sviluppare, quando invece ci si può avventurare in rapporti molto più effimeri che rilassano il corpo e che, pur essendo di breve durata, infondono un sentimento di soddisfazione immediato. Quello che si denuncia è l'apparentemente automatica trasfigurazione da esseri umani educati a selvaggi che smarriscono le basilari conoscenze dell'interazione umana per ottimizzare la ricerca della preda con la carne più fresca disponibile. Dal mio punto di vista non ritengo sia particolarmente difficile mantenere il cervello in funzione anche in queste occasioni e ritengo che un neurone decida di commettere un suicidio ogniqualvolta uno di questi casi si verifica. La domanda è: ma tutto ciò non lascia negli altri un senso di vuoto e pochezza?

Casomai ognuno di noi dovesse essere paragonato ad una tipologia di merce esposta, prego solo di non essere un detergente sturalavandini.

mercoledì 24 aprile 2013

"Pissicologia"

E' un po' che non scrivo. Mi pento e mi dolgo per la mia assenza dal blog, ma per impegni vari e, lo ammetto con dispiacere, per mancanza di voglia di scrivere l'ho trascurato parecchio.

Che succede?
Direi niente di significativo. Dopo delle vacanze di Pasqua rilassanti sono tornato tra le nebbie padane a rintanarmi in attesa dell'estate cercando di ottenere il tanto agognato titolo che si avvicina, a piccoli passi, ma si avvicina.

In realtà non avevo tanta voglia di scrivere neanche oggi, finché, per caso, la settimana scorsa sono capitato in un blog che seguo e ho letto qualcosa che dapprima mi ha lasciato interdetto, successivamente mi ha riempito d'orgoglio. Evidentemente non sono un disastro irreparabile e qualcosa di positivo mi capita di farlo. Una volta ogni tanto.
Si dà il caso che ultimamente abbia scoperto un mio lato particolarmente portato per quella che, nel linguaggio comune, si definirebbe "psicologia", ma che nella realtà non ha niente a che vedere con la scienza omonima; si tratta piuttosto di un talento che ritengo di avere sempre avuto, ma che probabilmente non ho mai sfruttato adeguatamente per scopi di carattere "nobile".
Nonostante pochi cedimenti d'altronde posso orgogliosamente definirmi una persona dalle idee chiare, di sapere sempre ciò che voglio e di perseguirlo in modo complessivamente coerente. Sono perfettamente consapevole, nonostante ciò, del fatto che le personalità non sono tutte uguali, ognuno possiede la sua propria accozzaglia di pregi e difetti, può esserne fiero o meno, cercare di cambiarla o conservarla così com'è; dunque conosco una buona quantità di persone che non possiedono la mia stessa forma mentis -il mondo è bello perché è vario, lungi da me sostenere che la mia sia in qualche modo migliore di un'altra- e possono non presentare la stessa decisione ed ambizione quando le strade si biforcano. Sono questi i casi in cui abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci consigli, astraendosi dalla situazione, nel caso in cui non sia già esterno ad essa per natura, e ci offra freddamente la propria opinione e i propri consigli in merito.

Si tratta di ciò che, ultimamente, tre persone mi hanno chiesto di fare in merito a tre situazioni totalmente diverse l'una dall'altra. Personalmente non pretendo di avere una visione oggettiva e totalmente condivisibile, in quanto ritengo non ne esista una, semplicemente mi sono ritrovato a consigliarli in base a come avrei agito io (o avrei voluto agire) in una situazione simile, tenendo anche conto di tutti gli ostacoli, delle loro opinioni ed esperienze in merito.

Probabilmente, al loro posto sarei stato felice di seguire i miei consigli vista la mia straordinaria abilità, riconosciuta col senno di poi, di fornirli. Peccato che, per la mia ancor più eccezionale prerogativa del predicare bene, ma razzolare male, sono il primo detrattore degli stessi, in quanto non sufficientemente coraggioso da metterli in atto.
A dispetto della mia riconosciuta incapacità, sono comunque orgoglioso di aver svolto un servizio utile per chi sarà in grado di trarne beneficio.

giovedì 7 marzo 2013

Blocco dello scrittore e vecchi accademici

Quando il blocco dello scrittore imperversa, mietendo vittime quotidiane e rallentando, per non dire annullando, il lavoro di migliaia di persone, come fare per uscire da questa crisi?

La redazione della tesi di laurea è ormai diventata all'ordine del giorno nel mio disperato tentativo di accelerare l'arrivo della fine della mia permanenza nella tanto detestata città di Treviso; il pilastro che regge le mie giornate e, conseguentemente, ne determina l'umore, è il mio successo nel riuscire ad imbrattare di nero almeno una paginetta di Word al giorno. Ciascuna di queste, rappresenta un passo in più intrapreso in vista della tanto agognata laurea e della un po' meno agognata fine della vita da studente universitario.
Finché si trattava di tradurre, e dunque semplicemente trasporre un testo già esistente da una lingua ad un'altra, il riempimento di fogli bianchi non costituiva assolutamente un ostacolo insormontabile. Le difficoltà cominciano quando arriva il momento di analizzare e commentare il lavoro svolto, combattuti tra la paura di non avere abbastanza contenuti da trasmettere e quella di scrivere i concetti meno attinenti ed incoerenti pur di riuscire a riempire lo spazio minimo richiesto.
La mia più grande paura è quella di incontrare lo scoglio dell'opposizione del docente relatore, ma, per quanto rischi di "autogufarmi" irrimediabilmente, resta un dato di fatto che il suddetto ha ormai superato il limite dei 60 e, nonostante la sua coriacea natura da vecchio accademico cariatide gli permetta di tirare avanti mostrando il lato più "professionale" di sé, la demenza senile avanza e la voglia di lavorare diminuisce a vista d'occhio; conseguenza di ciò sarà la sua negligenza durante la fase di correzione e, dunque, i lunghi pomeriggi passati seduto sul pavimento di fronte al suo studio saranno ripagati dall'avere dei via libera abbastanza generosi e rapidi.

Solo la proclamazione potrà comunque segnare l'inizio della gioia e la fine del dolore, dopo tante lacrime versate, regalate allo stress; si cresce ma si invecchia, spuntano rughe e i capelli cadono, ma sono passaggi obbligati, così come le scelte che comportano sacrifici.

Ponendo fine alle insensate dissertazioni sui massimi sistemi e sugli scopi ultimi della vita -che puntualmente trovano terreno fertile in orari notturni- chiudo l'ennesimo post di sfogo. Non si sa mai, magari la suprema divinità blogger un giorno leggerà ed esaudirà i miei desideri più reconditi cancellando le paure e le paranoie più intime...

venerdì 22 febbraio 2013

Dentro e fuori dall'armadio

Negli ultimi giorni sono stato involontariamente spinto a riflettere su una questione di ignavia, se così la si vuol chiamare. Chiaramente, come tanti altri aspetti, possiede mille sfaccettature, per questo motivo ritengo sia da sviscerare in profondità prima di poterle attribuire tale titolo.

Italia ed omosessualità non sono precisamente due vettori che procedono nella stessa direzione, è risaputo; nonostante ciò, assistiamo negli ultimi anni ad un graduale -e ahimè lento- processo di apertura in questo senso. Grazie all'Unione Europea, ai rapporti con i paesi vicini, al progresso, alle proteste e alle dimostrazioni  popolari, la mentalità si evolve per il meglio, eppure non è ancora abbastanza.
Nonostante si assista ad una sempre maggiore affermazione ed un più forte riconoscimento dei diritti delle persone attratte da individui dello stesso sesso, le voci che emergono dalla massa silente e indifferente sono ancora troppo deboli per poter essere adeguatamente udite da chi preferisce fare orecchie da mercante o, semplicemente, è talmente fermo e radicato nelle sue convinzioni da necessitare di motivazioni pronunciate in coro per potersi smuovere.
La critica che mi sento di lanciare, per quanto non voglia sparare a zero giacché anche io ho le mie croci e i miei scheletri nell'armadio, è nei confronti di coloro che passano il tempo a nascondersi nell'ombra o, per usare un'espressione anglo/gallo/ispano/lusitana tradotta: dentro l'armadio. Come per tante altre categorie, la difesa dei diritti tramite manifestazione pubblica è fondamentale, una colonna portante della sopraelevata che conduce all'ottenimento degli stessi ed al loro rispetto da parte della popolazione e dei suoi rappresentanti, è risaputo. A differenza di movimenti come quello femminista però, essere omosessuali alla luce del sole è tutt'altro che semplice e segue un processo di durata varia che passa per varie tappe e che incontra un numero di difficoltà che dipende da vari fattori. Solo chi è in grado di superare tutte le tappe con successo sarà in grado di affrontare la grande sfida della lotta per i propri diritti, traguardo accessibile non certamente per maggioranza degli omosessuali.
Lo scoglio iniziale, nonché uno dei più grossi, è quello di ammettere a se stessi che le proprie preferenze sessuali non sono quelle che la società ci insegna e secondo le quali siamo "programmati" sin dalla nascita. La durata di questo passaggio e le difficoltà incontrate sono strettamente legate all'ambito familiare e amicale nel quale si è cresciuti, i diversi gradi di apertura mentale dei suoi componenti, la presa della religione su questi ultimi e le eventuali opinioni al riguardo, ma buona parte di coloro che riescono, sono solitamente idonei ad ottenere buoni esiti anche nelle tappe successive.
Superati i vari traguardi del coming-out, il passo finale è quello dell'attivismo, del quale esistono vari gradi più o meno condivisibili; si va per esempio dall'ostentazione con lo scopo di infastidire chi non apprezza o non concepisce l'omosessualità, alla pretesa del rispetto in modo pacifico e fiero allo stesso tempo, con la condanna dei crimini contro la categoria. A metà vi sono gradi di attivismo molto più moderati e celati che possono palesarsi semplicemente nel parlare liberamente senza dover cambiare il genere dei sostantivi e degli aggettivi, di esprimersi come se si parlasse con se stessi e di non nascondersi né vergognarsi di ciò che si è, atteggiamento che, per quanto possa sembrare relativamente menefreghista e codardo rispetto a coloro che invece sfilano nelle strade e nelle piazze, rappresenta in realtà un atto collaborativo nei confronti del mondo omosessuale, poiché si portano le proprie conoscenze a comprendere la sessualità di una persona che hanno sempre apprezzato prima di entrare in contatto con questo suo aspetto e che, se dotate di ragione, non si sentirebbero mai di abbandonare perché "in contrasto" con il loro stile di vita. Come primo approccio è, secondo la mia opinione, piuttosto soddisfacente.

E' troppo comodo attendere che gli altri lottino per i nostri interessi mentre ci si nasconde nell'ombra, solo uniti si è capaci di raggiungere risultati significativi e a vivere pacificamente in società senza maschere né barriere.

lunedì 11 febbraio 2013

Chi è al mondo solo perché c'è posto

Ho deciso che i miei ultimi scritti su questa pagina erano troppo seri, quindi è ora di spezzare un po' la monotonia ed abbinarci un post a sfondo ironico, ma non troppo: in questo caso la verità non si deposita soltanto sul fondo.
La gente deve morire.
No, non mi riferisco semplicemente al fatto che siamo esseri mortali la cui vita naturale ha una durata media di 60/70 anni,  bensì a quella categoria di individui inutili o dannosi che arreca disturbo alle vite altrui e, sostanzialmente, "è al mondo solo perché c'è posto".
Penso sia abbastanza evidente che questo blog e i suoi contenuti non vogliono nemmeno lontanamente arrogarsi un'oggettività che non starebbe né in cielo né in terra, soprattutto visti gli argomenti futili e frivoli che tratto normalmente; l'unico mio intento è quello di esprimere le mie opinioni su argomenti determinati senza essere soggetto a censure, critiche od opinioni contrarie alla mie, sentendomi costretto magari a confutarle.
Solitamente, inoltre, non sono così estremista né misantropo, ma, dopo la chiacchierata con un amico che ha portato il focus della conversazione su elementi di dubbia utilità, quali Silvio Berlusconi o Ke$ha, la mia parte sociopatica ha sentito un impulso che l'ha risvegliata dopo un lunghissimo sonno; ora Lei è pronta per riscuotere gli arretrati.

Nella fattispecie, perché Ke$ha, una ragazza giovane senza talento alcuno, senza essersi creata un personaggio degno di nota, senza aver fatto niente di significativo eccetto canzoni vuote e insensate con un ritmo orecchiabile -con tanto di voce modificata elettronicamente, ça va sans dire- riesce ad avere così tanto successo nonostante abbia fatto sanguinare migliaia di orecchie in tutto il mondo? Ricordo che quando comparve il nome del suo ultimo album tra le Tendenze di Twitter, me ne compiacqui poiché, credetti per un momento che lei fosse scomparsa dalla faccia del pianeta, e il titolo "RIP" non poteva far altro che alimentare il mio desiderio. Non fraintendetemi: pecco anche io spesso e volentieri di incoerenza ed ho scaricato e, sporadicamente, ascolto qualcuno dei suoi singoli, però si tratta di isolati momenti di debolezza che difficilmente si ripetono.

Un po' diverso è il discorso che abbraccia l'ambito della politica. Per quanto la signorina citata qua sopra abbia una popolarità non indifferente, se non si ha più pazienza sufficiente per tollerarla si può sempre spegnere il riproduttore di musica in attività e metterla a tacere definitivamente. Nella vita di tutti i giorni, purtroppo, non basta spegnere la tv, il computer o la radio per non avere più notizie di colui che, più di ogni altro, ha condotto il paese alla rovina già per tre volte e che, oramai, non usa più neanche un filtro per setacciare i suoi pensieri più assurdi imbellendoli di retorica facendoli anche sembrare intelligenti e ragionati, ma sgancia a ruota libera gastronerie come fa una mandria di cavalli alla fiera di paese con i propri escrementi. Mettiamo da parte per un momento l'infelice metafora per dedicare un momento ai suoi elettori che sono sempre spaventosamente numerosi e che il Cavaliere riesce ad abbindolare con le sue chiacchiere, inducendoli a dichiarargli una folle e cieca fedeltà. In una parola: terrificanti.
Il motivo per cui è impossibile ignorare un individuo come lui è presto detto: le sue azioni hanno ripercussioni profonde sulla vita di tutti i giorni e sul futuro mio e di tanti giovani in primis.

Aggiornamento dell'ultim'ora: la sociopatia che normalmente ottiene il ruolo di protagonista di tutti i miei lunedì è oggi dissipata. Le dimissioni di Benedetto XVI sono una notizia della quale non posso far altro che rallegrarmi. Il signor Ratzinger, sin dal giorno della sua elezione, non ha fatto altro che darmi un crescente numero di motivi per alimentare il mio orientamento anticlericale, portandolo quasi ad un integralismo paragonabile a quello dei più alti vertici della Chiesa Cattolica Romana. Non resta che sperare in un esponente ben più progressista e di evitare di cadere dalla padella alla brace.
Non è morto, è vero, ma poveraccio, ormai i suoi anni li ha, la demenza senile ha già riscosso una vittima in lui e non mi pare etico augurargli una prematura sparizione, non ora che non rappresenta più un pericolo.

martedì 5 febbraio 2013

L'istinto di amare

Chi siamo? Cosa facciamo? Qual è lo scopo del nostro vagare?

Ogni essere umano si è posto queste domande almeno una volta nella vita, anche inconsciamente. Altrettanto inconsciamente cerca di rispondersi per poi mettersi alla ricerca di ciò che rispecchia la soluzione a questi quesiti nel mondo reale, in particolare all'ultimo dei tre.
E' facile rispondere da un punto di vista prettamente biologico affrontando un discorso improntato sui bisogni di prima necessità che determinano la sopravvivenza: il cibo, l'acqua, il calore, la luce.
Un po' più complicati sono invece gli aspetti morali e spirituali. Questi ultimi dipendono un po' dallo sviluppo e dai cambiamenti della filosofia e della mentalità dei popoli e delle genti, ma degli elementi costanti si trovano sempre a distanza di varie generazioni. E' da sempre oggetto di discorsi la ricerca della felicità, spesso accompagnata da quella dell'amore. Tanti sostengono che non esiste vita piena e felice senza l'amore ed è man mano che vado avanti che mi trovo a concordare sempre più con questa categoria.
L'uomo non è fatto per passare la vita in solitudine e sente il bisogno di essere sempre circondato da suoi simili sin dall'infanzia. E' inevitabile che nei confronti delle persone che ci stanno vicine si sviluppino sentimenti di natura affettiva di diversi tipi, una dipendenza dalla quale non si vorrebbe mai guarire.

Le priorità cambiano al cambiare delle generazioni, come dicevo. C'è chi pensa a fare soldi prima di ogni altra cosa, per poter vivere una vita dignitosa; chi studia in modo folle per poter conseguire la professione dei propri sogni; chi ha soltanto voglia di divertirsi e trascorrere il tempo in modo non impegnato; chi semplicemente ambisce a sopravvivere fino alla fine della giornata.
Cosa hanno in comune queste categorie di persone? La loro impellente necessità di interagire con gli altri o la loro fuga dalla solitudine.
Si lavora e si fanno soldi per potersi permettere una casa da condividere con la persona amata o la propria famiglia; si studia per lavorare e regalare una vita migliore a noi stessi e a chi riteniamo importante; ci si diverte preferibilmente in compagnia; si arriva alla fine della giornata presumibilmente con il pensiero che prima o poi, probabilmente, arriverà nella nostra vita qualcuno che la renda migliore e non ci costringa più a sopravvivere, ma ci insegni a vivere.
Anche l'uomo o la donna più superficiale del pianeta, dedito/a alla materialità, ai piaceri carnali e terreni, ha inconsciamente la necessità e il desiderio di stare bene, in pace. Starà a lui/lei ammetterlo o persino occultarlo a se stesso, in entrambi i casi è molto probabile che si lasci andare involontariamente, vinto dall'istinto della ricerca del calore interiore e del bisogno di amare, tradito dalla sua stessa natura.

Avrei tanto voluto non oltrepassare i confini della riflessione e precipitare su ciò che, non a torto, si considera sdolcinato; ma a volte ritengo sia necessario sbilanciarsi per esprimere ciò che si pensa.

domenica 27 gennaio 2013

Storia e Memoria

27 gennaio.
Giornata della Memoria delle vittime dell'Olocausto.

Una data che, da bambino e adolescente ha sempre rappresentato l'avvenimento storico che è stato capace di segnarmi e toccarmi nel profondo, più di qualunque altro. Lo sterminio di più di 6 milioni di individui nel corso di circa 5 anni appena con metodi barbari e disumani testimoniati da prove innegabili e schiaccianti; eppure, vi è ancora qualcuno con il coraggio di negare.
La storia insegna, non bisogna ignorarla quando ci lancia i suoi costanti avvertimenti mentre l'uomo rischia di ricadere negli stessi errori già commessi a causa della sua stupidità, dell'ignoranza, della follia, del suo egoismo e del suo mettere gli interessi davanti a tutto il resto.

Nonostante ciò, sappiamo bene, noi comuni mortali, di essere privi del senso della misura e della razionalità, sconfinando spesso e volentieri nei due estremi opposti perché la via più facile è comoda è quella del "fare di tutta l'erba un fascio" o creare un enorme spartiacque tra ciò che è totalmente positivo o totalmente negativo.
Per quanto per me sia difficoltoso attribuire aggettivi come "valido" a una figura emblematica come Adolf Hitler, ritengo che nella vita sia necessaria una certa abilità di astrazione; per questo motivo non condivido le idee chi spara a zero su individui che condannano fermamente l'Olocausto e, contemporaneamente, affermano che il suddetto abbia dimostrato notevoli capacità militare. I poveri incauti che non prestano attenzione a non esprimere le loro idee davanti a coloro che si spacciano per difensori assoluti, con le loro scintillanti spade tratte, della democrazia, mentre in realtà hanno lo stesso automatismo di un animale affamato davanti a una ciotola di cibo nell'attribuire aggettivi estremisti quali "fascista" o "comunista" al malcapitato.

La stessa categoria di personaggi, di dubbi gusto, apertura mentale e razionalità, costituisce la fazione più accanita, lo schieramento più compatto di quei moralisti che compiangono le vittime della tragedia per la bellezza di 5 minuti consecutivi: il tempo necessario per redigere un (per loro) epico stato su Facebook o Tweet degno dell'approvazione di almeno quattro o cinque seguaci appartenenti alla stessa categoria, per poi passare ad insultare lo zingaro, l'omosessuale o il rumeno di turno non appena l'atmosfera struggente smette di fare effetto su di loro. Sullo sfondo, la forza inarrestabile dell'incoerenza più palese.

Si elogia tanto la capacità di utilizzare la propria testa in modo autonomo per pensare, ma quando qualcuno si dimostra incline ad uscire dal coro, viene esiliato e stigmatizzato senza nessuna pietà.
E allora, perché si critica tanto chi la democrazia e la pluralità le aveva bandite?
Forse la storia non insegna, oppure grida ma non viene considerata.

sabato 19 gennaio 2013

Bimbominchiaggine

When I see stars, when I see, when I see stars that's all they are, when I hear songs they sound like a swan.

Il tanto temuto inizio della sessione d'esami invernale è arrivato. Non riverserò su questo spazio le mie ansie fantasma e il mio vittimismo inesistente, poiché obiettivamente non devo sostenerne nessuno di una difficoltà particolarmente elevata o che richiedano la memorizzazione di una mole considerevole di materiale, è semplicemente l'idea del doversi sottoporre a una prova, ancora una volta.
Treviso con il suo sconforto costituiscono il sottofondo perfetto per una vita noiosa e monotona come quella che vivo attualmente, o in realtà ne è la causa.
Nei giorni di pioggia e vento, uscire per fare commissioni non è bello quanto potrebbe esserlo a Parigi. Nello sconforto di un ombrello rotto da un soffio troppo forte e degli schizzi presi da una macchina in corsa su una pozzanghera sono sempre seguiti da uno sbuffare di breve durata.
E' un esercizio d'autocontrollo, il trattenersi dal non uscire fuori di testa e mantenere i propri obiettivi fissi davanti a sé anche quando non c'è nient'altro in grado di motivare e dare una spinta un po' più forte per andare avanti. Tutto dipende da quanto forte si riescono a stringere i pugni e serrare le mascelle quando qualcosa non va.
Se anche internet mi abbandona, cosa non infrequente in questi giorni, la solitudine si fa più pesante e non mi resta che trascorrere a tormentarmi le mani, con un tic nervoso all'occhio destro e battendo ritmicamente la testa al muro aspettando il sopraggiungere del trauma cranico o di uno svenimento che possa tenermi occupato almeno il pomeriggio.
Gli amici pare abbiano deciso di seguire l'esempio di tanti animali e votare all'unanimità per l'opzione "letargia". Non si parla quasi più di uscire, né durante né alla fine della settimana, ormai la facoltà è l'unico collante. Nel frattempo so che i miei amici lontani stanno insieme, si riuniscono, si divertono, vivono pacificamente. Io li invidio tanto e sento la loro mancanza, ma ancora una volta non resta niente da fare se non attendere giorni migliori.
Gastronerie a parte, è il futuro la posta in gioco; le alternative sono poche e sconvenienti e portano tutte a conclusioni delle quali so in partenza che mi pentirei.
Testa alta, pugni chiusi, denti stretti e un passo alla volta: la bimbominchiaggine è sempre in agguato anche quando si crede di aver raggiunto un livello di maturità tale da esserne esenti.

martedì 8 gennaio 2013

Duemilacredici

La profezia dei Maya si è rivelata un'enorme bufala. Maledizione per alcuni, sollievo non realmente sentito per altri. Un ipotetico dio o chi per lui avrebbe potuto cogliere la palla al balzo per liberarsi di quelle persone che occupano il pianeta solo perché c'è posto, invece si è dimostrato inconcludente e apatico come sempre.
Che vogliamo farci? La vita continua, con o senza il nostro appoggio, il sole continua a sorgere, fuggendo poi alla luna che lo cerca senza mai trovarlo e poi, dopo un certo tot di ore, si stanca di aspettarlo e torna a dormire, lasciandogli campo libero.

Personificazioni alienanti e vaneggi post-vacanze a parte, non sono ancora entrato nell'ottica del nuovo anno o, che nel mio caso è un sinonimo decisamente più appropriato, della sessione d'esami invernali.
Dopo 20 giorni esatti spartiti tra mangiate, rimpatriate e visite ai familiari di ogni grado e ramo dell'albero genealogico ci si sente piacevolmente satolli e assonnati, come dopo un lungo, copioso e squisito pasto -tanto per restare in tema cibo, come se non ne avessi visto abbastanza durante le vacanze. Potrete dunque immaginare, miei evanescenti lettori, che abbia fatto poco e niente di universitario, diciamo giusto un minimo: quanto l'energia dei miei sensi di colpa mi consentiva, il che non superava mai i 40 minuti consecutivi.

Tralasciando la mia carriera universitaria, di cui i miei genitori sono i fan numero uno poiché il suo successo è inversamente proporzionale al tempo richiesto per la mia indipendenza economica -e come biasimarli, ahimè!-, parliamo dei nuovi 365 giorni appena cominciati. In realtà sono 358 adesso, ma non volevo essere pignolo.
Il duemilaecredici ...ehm! ...tredici, è iniziato nel modo più banale concepibile dalla mente umana: il mio consueto Capodanno a Cagliari dai miei amati ed estremamente distanti amici che sono sempre un'iniezione di vita (Luv ya) e che mi assicurano un principio con il piede giusto e il sorriso sulle labbra, mi riforniscono di pettegolezzi e mi danno lo spunto per cercarne di nuovi da condividere con loro.
Non ho formulato buoni propositi stavolta, o perlomeno non di diversi dai soliti: una bella limatina graduale, non troppo severa, ai miei difetti, mantenere strette le persone degne, avvicinare quelle che tali si dimostrano, allontanare chi non merita o chi, bando all'ipocrisia, non è oggetto della mia attenzione. Oh, già, e laurearmi, cosa gradita e sulla quale non mi permetterei mai di sputare sopra: coinciderebbe con il mio addio all'odiata Treviso, non riesco a pensare a niente di più esaltante!

Le priorità sono ben definite, le cose iniziate verranno, se tutto va bene, concluse, la coerenza e la razionalità saranno le mie guide irrinunciabili per raggiungere il traguardo del non sentirmi particolarmente idiota alla fine dei tempi.
L'abbandono di questo blog è da dichiararsi "persona non grata" in queste terre, come potrei altrimenti informare sulle mie mirabolanti (dis)avventure? Non scherziamo.