venerdì 26 ottobre 2012

Mi so trevisan

Treviso è la notte, il buio intenso, quello per il quale si prova un incontenibile, incontrollabile, intrinseco (e altri aggettivi che iniziano con "in") terrore. E' questa la sensazione da me sperimentata all'avvicinarsi del giorno del mio ritorno nella ridente cittadina dell'ala est della Pianura Padana.
E poi quel giorno è arrivato: eccola lì, lei con la sua umidità capace di penetrare qualsiasi osso, i suoi nugoli di zanzare, la sua desolazione, eppure il suo fascino; tolti i suoi infiniti difetti non sarebbe mica così male come città.
Sceso dall'aereo mi ritrovo a lanciare occhiatacce cariche d'odio alternate: una al sardo rude ed incapace di comportarsi decentemente in pubblico, l'altra alla veneta che mi offre un assaggio del suo orrendo e fastidioso dialetto mentre storce il naso davanti alla borsa, certamente non Prada, della donna davanti a lei, il tutto con frasi in italiano con quattro o cinque congiuntivi sbagliati ciascuna.
E' quest'ultima categoria che mi circonderà e mi minaccerà contro un muro per almeno otto mesi, ok, ormai sono sette, suvvia!
I suoi abitanti (o perlomeno quelli che ho avuto la sfortuna di conoscere io) sono il più grande difetto del capoluogo. Avevo sempre sentito varie generalizzazioni sul tipico norditaliano, sulla sua chiusura mentale, attribuita normalmente all'influenza della Lega Nord più forte di quanto si possa credere, sulla sua sorprendente abilità di palesare la propria ricchezza, superiore in tanti casi del normale ed onesto (leggi: non mafioso) comune cittadino del sud, il loro amore per le firme e per le pellicce le quali, nonostante io possa ritenere comprensibile il fatto che il clima sia un tantino più rigido avvicinandosi al Polo Nord, io interpreto solo ed esclusivamente un inutile sfoggio di un capo costoso, alla moda e particolarmente BRUTTO, sia per il macello di bestiole che ha presupposto, sia dal punto di vista estetico. Per quanto tante voci siano arrivate al mio orecchio, non mi piace basarmi sugli echi di corridoio: spesso e volentieri si sono dimostrati inaffidabili e falsi, preferisco di gran lunga basarmi sulle esperienze personali, tanto prima o poi tutti i nodi vengono al pettine.
Una volta tanto, però, le famose voci di corridoio si sono rivelate reali: i trevigiani, a qualunque categoria essi appartengano, sono una "razza" a sé con la quale io non posso, non riesco e non voglio andare d'accordo.
Lungi da me il generalizzare: so bene che non funziona ed odio le persone che lo fanno, ma spesso risulta tanto comodo, nelle descrizioni, categorizzare e fare di tutta l'erba un fascio, dopotutto, in tempi di crisi, diciamo tutti benvenuto al risparmio, sia esso di soldi, denaro o tempo.
In questa inutile cittadina sembra che tutto sia mirato alle apparenze: tutti (ma soprattutto tutte) vestono bene per andare a fare colazione al bar la domenica mattina, per andare dal medico, per fare la spesa, per portare a spasso i cani; la Louis Vuitton a cofanetto non manca mai, così come le Manolo tacco 12 ai piedi e il trucco impeccabile, persino nella signora che avanza lentamente ed a stento gettando tutto il proprio peso su un bastone senza il quale non riuscirebbe a muovere un passo. Ovvio, non è opportuno rinunciare allo stile per un paio di stupide protesi o per una serie di sedute dal fisioterapista quando se ne può fare tranquillamente a meno.

E' matematico (o almeno nella mente dei trevigiani risulta esserlo) che il far finta di avere stile porti con sé un sentimento di superiorità innegabile ed imprescindibile, che a sua volta conduce alle occhiatacce di disprezzo malcelato (o non celato proprio) nei confronti delle seguenti categorie:

-stranieri, che siano regolari o meno poco importa, rubano il lavoro agli italiani anche se l'italiano in questione è un becero contadino che non ha mai fatto nulla nella sua vita mentre lo straniero vanta lauree, master e decine di esperienze lavorative;

-omosessuali, "Scherziamo? Io vado in chiesa e prego tutte le domeniche assieme a mio marito che mi cornifica con la segretaria, mio figlio teppista e mia figlia sciacquetta: siamo pur sempre il perfetto esempio di famiglia "normale";

-"terroni", aggettivo dalla dubbia definizione che, in origine, identificherebbe qualunque abitante di una zona al di sotto del corso del fiume Po, eccezion fatta per qualsiasi regione nella quale il Padano DOC trascorre le vacanze;

-poveri, che arrivano a stento a fine mese e non si possono permettere il Rolex al polso. N.B.: a questa categoria non appartengono i "finti ricchi", ossia coloro che scelgono di mangiare pasta al burro per un mese solo per potersi permettere un capo griffato in più e che, caso strano, costituiscono il 99% dei criticoni in questo senso.

Ho momentaneamente esaurito i miei sproloqui riguardanti la "ridente" cittadina bagnata dal Sile, lamentele intese come sfoghi momentanei e da non prendere seriamente alle quali potrà seguire un secondo capitolo a seconda delle più o meno impellenti necessità o flussi d'odio scaturiti dalla mia persona.
Per ora sono solo stanco di tutto questo verde, non della natura ma di un partito del quale mi vergogno più di quanto potrei mai vergognarmi di me stesso intento a ballare Dirty Dancing, in mezzo ad una piazza, con un tutù rosa shocking indosso.

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