mercoledì 7 novembre 2012

Yes, we can!

Tanti secoli fa l'Europa era solita essere l'ombelico del mondo, il centro su cui gli occhi di tutti erano puntati in attesa dell'arrivo delle novità, positive o negative che fossero, e, successivamente, del loro propagarsi nel resto del mondo. Poco a poco, il mirino ha iniziato a spostarsi o, come sarebbe più corretto dire, a clonarsi. Ciascuno dei cloni si è poi spostato verso altre zone a seconda dell'importanza di queste ultime.
Sebbene sia indiscutibile, nonché provato storicamente e scientificamente, che la culla della vita sia l'Africa e l'Europa quella della civiltà, tanto di ciò che conta veramente si svolge sull'altra riva dell'Atlantico, nella federazione a Stelle e Strisce di cui tutti parlano e tutti conoscono: gli Stati Uniti. Si tratta di un odi et amo mai stantio e perfettamente cosciente della propria natura qualificabile attraverso vari gradi di una scala che ha, appunto l'odi e l'amo alle sue estremità; ogni cittadino del mondo si colloca al livello corrispondente al sentimento che prova nei confronti di quella signora Nazione, influenzato dal potere dei media, da una cultura così comoda da trasmettere poiché in tanti casi risulta candidamente banale e che dipinge tanti luoghi come uno stesso luogo attraverso le tinte più attraenti ed appetitose, quasi come un paradiso in terra.
E' sufficiente conservare intatto il proprio senno e ricordarsi di usare il cervello per rendersi conto del fatto che le cose non stanno esattamente così. Anche le disgrazie hanno imparato come attraversare l'oceano e, quasi a voler dimostrare come questo superamento le abbia temprate, si accaniscono ancora più violentemente, ingigantite quanto le loro omologhe: le fortune.
L'esempio più recente, assieme a tanti altri, è stato l'uragano Sandy, uno dei più violenti della storia degli ultimi decenni, dal quale la parte del paese messa in ginocchio, stenta ancora a recuperare la quotidianità.

Quando si è abituati a qualcosa di  misurato, come gran parte di ciò che riguarda un continente di dimensioni ridotte quale l'Europa, tutto ciò che arriva da lontano si ingigantisce, non per una questione di prospettiva, proprio dal punto di vista concreto.
E' dunque perfettamente comprensibile che la figura al volante degli U.S.A. sia la principale dal punto di vista del peso che detiene sulla bilancia mondiale, tutt'altro che equilibrata. Che ci piaccia o no, questi sarà sempre presente in qualsiasi questione internazionale: guerre, crisi economiche, sciagure, manifestazioni, cultura, dibattiti, egli (qualcuno si chiede quando si potrà parlare di "ella") comparirà, puntualmente. Potremmo persino suggerire di sostituire il povero e odiato prezzemolo, di cui tanto si critica l'invadenza nel modo di dire, con il cognome del nuovo regolatore dell'ordine mondiale.



Ed eccoci al nocciolo della questione: Sandy non è stato un avvenimento isolato che ci ha riportato alla mente l'esistenza di una nazione formata da 50 stati dall'altra parte dell'oceano, bensì non si sentiva parlare di niente di diverso da quest'ultima da varie settimane poiché teatro delle nuove elezioni della suddetta figura, colui che sarebbe dovuto essere alle redini del più potente stato del mondo.

Lo ammetto: sono stato sedotto anche io dagli stessi mezzi di comunicazione che, con i loro elogi, sono riuscite ad ammaliare milioni di persone in tutto il pianeta con il cosiddetto "Sogno Americano" e quindi, in vista di un mio -quanto più prossimo- trasferimento mi son sentito in dovere di tenermi informato tramite stampa estera dell'andamento della campagna elettorale fino all'arrivo dello scrutinio.
L'ansia della serata che precedeva i risultati era quasi palpabile anche a casa mia: è successo ciò che normalmente mi capita con le serie tv, si è creata una sorta di dipendenza e di trasporto nei suoi confronti fino al sopraggiungere del climax con l'ufficializzazione dei risultati. L'unica differenza che intercorre tra le elezioni americani e una serie tv è che le prime non lasciano un vuoto dentro quando finiscono, poiché segnano l'inizio della vita di un governo -o del suo continuo- e c'è ancora tanto da aspettarsi.
Quando poi si prende particolarmente a cuore un candidato uscente, e in antipatia il suo sfidante, le cose si fanno ancora più interessanti.
Barack Obama, ricordiamolo, è sempre un essere umano, ma ha donato nuovi impulsi ad una confederazione di stati dalle mille antitesi che non ha mai saputo, e continua a non sapere, apprezzarlo appieno. I passi avanti sono stati innumerevoli, forse troppi agli occhi di tutta l'ala reazionaria che rappresenta una buona metà del paese, probabilmente l'ostacolo maggiore al rinnovamento e al riaffermarsi come potenza mondiale

Nel mio piccolo confido nella capacità delle persone di cambiare, come tanti hanno fatto durante il primo mandato del primo presidente non di pelle bianca, colui che ha catturato i cuori di tante persone, dentro e fuori dagli Stati Uniti perché contribuisca al benessere e al progresso di quella Nazione della quale un giorno, let's hope for the better, io farò parte.


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